Interpretazione di un’autostrada vuota
di Giuseppe Turchi – Dal piccolo cortiletto di casa la mia vista arriva là, sull’altro lato della valle, dove è stata eretta l’autostrada della Cisa. Non si sente l’eco degli pneumatici che rotolano sull’asfalto a grande velocità, un sibilo caratteristico che si riconoscerebbe tra mille. Non si sente il ronzio dei motori su di giri, né i clacson dei guidatori più impazienti. La ‘Cisa’ inquina il paesaggio della Valtaro con il suo cemento – un inquinamento necessario, sia chiaro – ma senza tutti i mezzi che la calcano ogni giorno, sembra integrarsi meglio nei versanti dell’appennino. Verde e marrone hanno siglato una tregua con il grigio.
Quel vuoto da cui l’aria si migliora a ogni respiro dovrebbe mettere ansia, e di fatto ad alcuni la mette. L’assenza di veicoli è segno dell’emergenza da Coronavirus, della restrizione delle libertà personali, della contrazione degli affetti. Si può pensare di raggiungere la fine del mese con più tranquillità, se la strada è piena. Si può immaginare ancora il momento in cui si staccherà dalla frenesia del lavoro per andare in ferie. Ma se la strada è vuota, cadono certezze e sogni.
Pascal diceva che la cosa peggiore per un uomo è doversi soffermare a riflettere sulla propria condizione, poiché in quel caso si troverebbe ad affrontare la propria infelicità e quei supremi interrogativi per cui non avrà mai risposta. Allora ecco che l’uomo si ‘stordisce’ con le occupazioni mondane e gli intrattenimenti sociali, il divertissement. Ma l’autostrada è vuota. Un vuoto che ci lascia soli a noi stessi e dal quale ci accorgiamo che è difficile fuggire. Quasi ci fa violenza, quel vuoto, tanto che persino gli influencer guadagnano meno e non sanno come reinventarsi.
Dove non passano macchine, serpeggia la miseria. È un dato di fatto. Ma non è anche il lascito della società post-moderna? Un’abitudine all’evasione di sé per poter sopravvivere nel sistema della competizione e della velocità? Chi si ferma a pensare non solo è destinato a soffrire, ma è inconcludente, non produce, non fa audience – a meno che non abbia autorità, o che la rete non lo elegga a sex symbol.
In effetti è ben poca consolazione l’avere la dignità della ‘canna che pensa’, cioè di sapere che, pur essendo creature infinitamente fragili, siamo le uniche che abbiano una consapevolezza di sé e del mondo. L’uomo è “pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, perché sa di morire, e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla” scriveva Pascal nei suoi Pensieri. Ma così l’autostrada vuota continua a opprimerci.
E se invece la dignità dell’uomo fosse sì nel pensare, ma inteso come capacità di vagliare scenari per trovare soluzioni? Si potrebbe guardare l’autostrada vuota con un po’ meno ansia?
Ora che possiamo stare a massimo 100 metri da casa, viaggiare virtualmente non ci basta più. Uscire dalla cameretta con lo smartphone non ci appaga. Fare l’aperitivo a distanza non ci completa. Abbiamo capito di aver bisogno di contatto con quel che ci circonda. Anzi, siamo costretti a riscoprire quel che ci circonda. Per esempio la dirimpettaia che in condizioni normali saluteremmo appena. O la metafora insita nella gemma di una pianta in fiore. In appennino la gente vuole passeggiare nei boschi, e quasi si ribella alle prescrizioni, perché è ormai risaputo che il ‘forest bathing’ allevia lo stress. E oggigiorno qual è una delle maggiori fonti di stress, se non la velocità che vedevamo sull’autostrada? La stessa velocità che ha reso la lentezza una fonte di stress.
Chissà se riusciremo a godere queste ri-scoperte tanto da prefigurare un ritorno alla natura. Non parlo di ‘tecnoclastia’, ma di un ritmo di vita, di un cambio di sguardo. Cominciare a progettare un modello compatibile con l’ambiente e i bisogni della nostra psiche, o almeno prepararci ad accoglierlo quando ce lo (ri)proporranno.
Riusciremo ancora a pensarci quando l’emergenza sarà finita? O verremo di nuovo avviluppati nel gorgo frenetico delle vecchie abitudini che, con la nostra salute, trascina via pure la nostra memoria?
Perché bisogna che le autostrade tornino a essere trafficate, ma non con lo stesso spirito di prima.
Foto di Lorenzo Spagnoli
P.S. – Leggerei forse un poco diversamente il pensiero di Pascal (in verità non so se il riferimento preciso sia questo): “ho detto spesso che l’infelicità degli uomini deriva da una sola cosa, il non saper stare quieti in una stanza”; dove c’è, come dire, una differenza d’accento. Non si afferma tanto che la cosa peggiore è il doversi fermare a riflettere sulla propria infelicità – quanto che la nostra infelicità deriva proprio dal non saperci fermare, ‘non sapere stare quieti’ (nel Vuoto. Nel Silenzio, nella lentezza …). Niente di discosto da quanto, con sensibilità, suggerisce Giuseppe Turchi; mi piace solo sottolinearlo.
Mi piace molto. Questa proposta di Giuseppe Turchi – di ragionare a partire da un’immagine (‘Ratio’? – ma che cos’è). L’autostrada vuota. Il serpente, la ferita (serpente? Quale – quello della Bibbia? Si, proprio quello li). C’era già capitata, di recente, un’occasione di “ragionamento’ similare: ve la ricordate? La foto del piccolo Aylan in braccio al suo soccorritore. (soccorso vano, ahimè: il piccolo Aylan era un cadavere, e il suo soccorritore … a quanto so, ora è un uomo disperato e coraggioso, che ha fondato una disperata onlus per il soccorso dei migranti). Quanto è ‘durata’ questa immagine – così forte – nelle nostre coscienze? Un paio di giorni.
L’autostrada vuota. Il VUOTO. Piazza San pietro, un vecchio vestito di bianco (colore del lutto nei paesi asiatici) che cammina verso un crocefisso. Quanto durerà questa immagine … personalmente, vorrei che durasse per sempre. Sempre? Be’ – quando è cominciato l’Antropocene? Ci sono teorie diverse in proposito. Con la rivoluzione industriale, con l’imperialismo dell’occidente .. eccetera, eccetera. A me convince abbastanza una idea: l’antropocene è cominciato con l’agricoltura, circa 10.000 anni fa. Quindi vorrei che questa immagine – il vecchio che cammina lentamente in un film di fantascienza – pardon, in un rito religioso – pardon: nella mia coscienza, nel mio Essere Umano.
Durasse per i prossimi diecimila anni.
Oggi è Pasqua – martedi entra in vigore il ‘decreto aprile’ e alcune – poche, ma significative – attività ricominciano a ‘marciare’. Bene! Non credo che la cassa integrazione o altri provvedimenti ‘straordinari’ avrebbero potuto coprirmi per i prossimi diecimila anni.
L’autostrada della Cisa … il serpente, la ferita. Tornerà come prima?