[Redazionale] Sul concetto di responsabilità
di Samuele Trasforini – Responsabilità, un concetto di cui sentiamo molto parlare in questi ultimi tempi, costantemente sulla bocca di politici e giornalisti e che in profondità, forse troppo, risuona debole anche nella nostra testa. Al governo viene accollata la responsabilità della crisi conseguente al Coronavirus, all’opposizione spetta invece di agire responsabilmente – evitando la futile speculazione finalizzata al consenso – e al cittadino viene chiesto di essere responsabile ovvero di agire in maniera conforme alle norme che regolano questa condizione di reclusione forzata.
Questi che vi porto oggi sono pensieri che – perseguendo gli stessi obiettivi di “Prospettiva” – nascono nel periodo pre-Coronavirus e si interrogano sul futuro, trovando ulteriori conferme nella situazione attuale. Se una riflessione morale e critica sulla responsabilità e sulla società occidentale può nascere dalla visione di una realtà che ristagna anche in condizioni normali, trova vigore in questa condizione di crisi umanitaria, sanitaria ed economica.
C’è un dato che in particolare dovrebbe farci riflettere sul concetto di responsabilità: l’Italia è in quarantena dal 9 Marzo e al 13 Aprile sono stati effettuati circa 7 milioni di controlli e sanzionate circa 265 mila persone, poco meno del 4% ; 1 cittadino su 25 (controllati) ha infranto la legge, quella stessa legge che potrebbe offrirci una possibilità di sconfiggere il Coronavirus. Premetto che i dati semplificano la realtà dei fatti e che quindi occorre fare alcune precisazioni di carattere ipotetico: i controlli potrebbero esseri stati reiterati, portando a una riduzione del numero effettivo di persone controllate, e lo stesso vale per le denunce, generando inevitabili cambiamenti della percentuale. È lecito considerare anche il ragionamento contrario, ovvero che non tutte le persone che hanno infranto tale legge sono state controllate e di conseguenza sanzionate.
Una domanda sorge spontanea nei miei obbligati pensieri quotidiani in relazione alla situazione vigente: la responsabilità è un valore della nostra società oppure è solo un simulacro, una parola vuota vittima di una società neo-liberista che non promuove altro se non l’individualismo?
Socrate sosteneva che si compie il male solo ignorando il vero bene. La responsabilità di un’azione implica dunque la non ignoranza del bene. Subordinare gli interessi della società ai propri – quando si è evidentemente e organicamente parte della stessa – e rendere il soddisfacimento del bene privato condizione per giungere, poi e forse, al soddisfacimento del bene collettivo, potrebbe significare ignoranza del bene.
“[…] l’uomo ‘straordinario’ ha diritto… non un diritto ufficiale, si capisce, ma un suo diritto personale di permettere alla propria coscienza di superare certi… ostacoli, e questo solo nel caso in cui ciò fosse necessario per realizzare la sua idea […]” (Dostoevskij, 1866) dice Raskòl’nikov – il protagonista – a Porfirij Petrovič in “Delitto e castigo”. L’uomo straordinario ha il diritto di anteporre i propri interessi a quelli della collettività, considera il primato del proprio bene sul bene degli altri. Riprendendo – ovviamente in chiave critica – la posizione di Raskòl’nikov, responsabile di un duplice omicidio, si ammette la possibilità che qualche individuo straordinario, cogliendosi al di sopra degli altri, possa agire noncurante del bene pubblico. Rimane il dubbio su quale sia la differenza tra un uomo straordinario e un uomo ordinario; inoltre è lecito chiedersi come e da dove nasca questa concezione di sé stessi.
“Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, divi del cinema, rockstar. Ma non è così.” dice Tyler Durden ai suoi uomini nudi e veri, che non temono né il dolore né la morte, nel film del 1999 “Fight Club” di David Fincher. Potrebbe dunque essere la stessa società occidentale – assieme ai suoi prodotti e alle sue manifestazioni massmediatiche – che ci ha indotto a pensare di essere speciali, facendoci fondare la nostra personalità e la nostra morale su tale convinzione illusoria. Il pensarsi uomini straordinari potrebbe quindi nascere dalla corruzione (intesa come influenza e modificazione) che la società neo-liberista occidentale attua sugli individui, riducendo al nulla il concetto di responsabilità.
I due personaggi immaginari riescono a fornirci ipoteticamente una complementare e circolare visione del problema: la società occidentale promuoverebbe l’individualismo e l’individualismo a sua volta sarebbe causa – o almeno una delle cause – della decadenza della società occidentale.
Responsabilità significa (anche) rispondere delle proprie azioni, ma se la nostra morale, in quanto individui straordinari, si impone sulla morale collettiva e sul bene della società, a chi dovremmo rispondere per le nostre azioni? Nemmeno a noi stessi, poiché l’agire nostro – l’agire di uomini superiori – è giusto in quanto nostro. Lungi da me l’affermare che non esistano uomini responsabili, tuttavia la responsabilità – in una società che ci spinge a concepirci come un brand, dove siamo tutti a nostro modo straordinari (o dotati volontariamente di una qualche innaturale diversità) – parrebbe non essere un valore reale.
Ecco che chiunque può ergersi al di sopra degli altri e infrangere quella legge che sembrerebbe offrirci una possibilità di uscire da questa situazione, quella legge che si presenta a noi come garante della sopravvivenza dell’umanità. L’umanità è stata subordinata all’interesse del singolo, ma non da ora; e ora sembra forse più chiaro.
L’uomo, superata questa sfida, dovrà riflettere non solo sulla responsabilità – in quanto valore – e sul bene – in quanto bene della comunità – ma anche su un nuovo tipo di società che non sia promotrice di ciò che la sta colpendo e affondando, considerando una sua futura trasformazione sostanziale in direzione di una collettività più forte, a scapito dell’egocentrismo insito negli individui, tutti a loro modo straordinari.
Termino ponendo al lettore alcuni interrogativi che io stesso mi sono posto ma che ancora non ho vagliato: che sia forse necessario rivalutare il ruolo dei massmedia e del mondo apparente che ci circonda e influenza? Che sia forse necessario mettere in dubbio parte delle nostre credenze? Che sia forse necessario porgere il nostro sguardo, in termini sia metodologici che contenutistici, a un nuovo e diverso modello educativo?
Sì, caro Samuele – Responsabilità è “un concetto di cui sentiamo molto parlare in questi ultimi tempi”.
La parola viene dal latino ‘respondere’, composto di ‘re’ indietro e ‘spondere’ promettere (più il suffisso – bile che indica facoltà, possibilità). In sostanza: un guardarsi indietro e al tempo stesso un dichiararsi, un promettersi ‘abile al futuro’ (chi ha seguito i lavori di “Angelus Novus” sentirà echi risuonare …).
A me, in questi lunghi giorni, ogni qualvolta sentivo pronunciare questa parola, venivano alla mente due immagini: la prima, quella di un ragazzo diciannovenne che da una situazione di isolamento rivolge una lettera accorata agli amici; il ragazzo è Giacomo Ulivi, siamo nell’autunno del ’44, lui vive in clandestinità e di lì a poco sarà fucilato dai fascisti. La lettera è scritta su 14 foglietti strappati da un taccuino (oggi sarebbero altrettanti ‘post’ su Fb?) e comincia così: “Cari Amici,
Vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire “falso”, di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di RESPONSABILITA’ che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savonarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall’industria ai campi di grano. Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. […]”.
La seconda immagine è quella dipinta nel libro II dell’Eneide (la fuga da Troia in fiamme) con queste parole dell’eroe virgiliano al vecchio Anchise:
” … Tu, padre, terrai nelle tue mani / i sacri arredi e i patrii Penati:
io non posso toccarli, essendo fresco / di tanta strage e tanta guerra, almeno
finché non mi pulisca e non mi mondi / nella viva corrente di un ruscello”.
(Prosegue il racconto) – Ciò detto, piego il collo e, sistemata / sulle larghe spalle una coperta,
poi, sopra a questa, la rossiccia pelle / d’un leone, mi carico del peso;
alla mia destra mi s’attacca Julo, /che mi segue a fatica, accelerando
i suoi piccoli passi, dietro viene / la mia consorte. Andiamo lungo strade
solitarie, nell’ombra, […].
Ecco: Enea col passato sulle spalle e il futuro per mano;
questa è l’immagine viva che ho della Responsabilità.
Tutto intorno, (passando da Virgilio a Gianna Nannini …) ‘brucia la città’;
“[…] e me, /che prima non atterriva il lancio delle frecce
o alcun assalto dei Grèci serrati /in folta schiera, adesso ogni più lieve
soffio d’aria spaventa, ogni sussurro /fa trasalire col fiato sospeso
per chi tengo per mano e per chi porto sulle spalle,
per il padre e per il figlio”.
Caro Piergiorgio, non posso che ringraziarti per l’intervento, a volte l’immagine – di qualunque tipo essa sia – è il miglior modo per esprimere un concetto, grazie alla sua immediatezza. Le immagini che ti vengono alla mente sono molto suggestive ed esprimono alla perfezione ciò che la responsabilità implica, ovvero un’auto-analisi e la comprensione del nostro agire, con lo scopo di proiettare nel futuro la riflessione interiore; solo comprendendo è possibile plasmare il futuro, operare nel tempo. “[…] tutto noi dobbiamo rifare” scrive Giacomo Ulivi nella lettera; questo dovrebbe essere l’inizio del viaggio, la “Prospettiva”, il peso di cui si carica Enea, alla cui destra s’attacca Julo.