Ripensando ai valori del 25 aprile
di Donato Carlucci – Parma assaporò la Liberazione il 26 Aprile e vide entrare per primo in centro, con i suoi partigiani, un sacerdote, Paolo il Danese. Nella nostra città, spesso, si dimentica che le formazioni partigiane non erano solo quelle di sinistra! Giorgio Napolitano, più volte, da Presidente della Repubblica, ha rimarcato come fosse necessario declinare correttamente il significato e l’eredità della Resistenza, in termini condivisibili, non restrittivi e settari, non condizionati da “esclusivismi faziosi”. Arndt Lauritzen, vero nome del Danese, fu incaricato di dirigere il carcere di S. Francesco e, con il rispetto che si era conquistato, impedì che anche Parma fosse coinvolta, se non in minima parte, nelle faide dal sapore di pura vendetta, che si sono verificate in altri territori emiliani, al termine della guerra.
Non vi è dubbio alcuno che la Resistenza abbia avuto una importanza etica e politica di elevata valenza e che abbia, di fatto, contribuito al riscatto dell’intera Italia che, così, passò dalla scarsa considerazione degli Alleati alla collaborazione piena e, perfino, alla loro stima, dovuta, soprattutto, al comportamento delle ricostituite Forze Armate definite, ufficialmente, “esempio di determinazione per la liberazione del Paese ed esempio per i popoli oppressi dell’Europa”. Accanto alla rilevanza politica, peraltro, quella che normalmente si intende Resistenza non ha prodotto veri vantaggi militari, non ha accelerato la disfatta tedesca ed è solo una componente della Liberazione: senza l’intervento delle Forze Alleate e l’ottimo comportamento delle Forze Armate Italiane non vi sarebbe stata Liberazione.
La Resistenza non è solo quella delle formazioni partigiane, ma anche quella della gente comune, delle donne, del clero (per esempio, i Francescani aprirono i conventi agli Ebrei), degli Ebrei stessi, degli operai che scioperavano per boicottare la produzione bellica tedesca, dei ferrovieri che rallentavano i treni per consentire ai deportati di saltare giù, dei medici che firmavano certificati falsi pagando di persona, degli imprenditori che salvavano i propri collaboratori dalla deportazione, dei contadini, che, seppur fossero spesso bistrattati dai partigiani, a proprio rischio, accettavano di aiutarli. Nonostante questa realtà storica, ci sono organizzazioni che vogliono far predominare l’ideologia, tant’è che siamo l’unica Nazione occidentale ove si vuole imporre la Resistenza come sinonimo di “sinistra”! Una grande falsità storica.
Le formazioni partigiane erano cattoliche, comuniste, monarchiche, socialiste e, perfino, gielliste. Oltre la partigiana, v’era la Resistenza popolare e militare, spesso e volutamente, posta nel dimenticatoio. Napolitano ha sempre invitato a evitare “rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e del movimento partigiano”, cogliendo tutte le forme di partecipazione ad essa, vera riscoperta del senso della Patria, mi riferisco in special modo alla rilevantissima componente dei militari per il moto di liberazione, la riconquista della libertà. Il primo atto italiano di Resistenza è avvenuto a Cefalonia ed a Corfù luoghi-simbolo di eroico senso dell’onore e del coraggio degli uomini con le stellette, ove la Divisione Acqui ed il Battaglione della Guardia di Finanza, tutti militari, meritarono la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Alla Resistenza parteciparono reparti regolari e numerosi militari-partigiani, essenziali per l’addestramento e l’organizzazione, sia perché maggioranza numerica sia per la loro valenza tecnica.
A Parma, tutti conoscono il Comandante Pablo, ovvero Giacomo di Crollalanza, ma occorre sottolineare che era tenente dei Granatieri, che costituì per primo in Appennino le unità partigiane, divenendo il Comandante di tutte le formazioni parmensi. Questo a dimostrazione che la base alla Resistenza l’hanno posta i militari. A Parma è vissuto anche il Generale Bersagliere Giuseppe Scarani che, pur insignito dai tedeschi per atti di valore con la “Croce di Ferro di II Classe sul campo”, fu tra i primi partigiani che da semplice combattente, divenne Capo di Stato Maggiore dell’Emilia Romagna.
Un grande contributo alla Resistenza diedero i 600 mila Militari internati, che preferirono restare, in condizioni drammatiche, nei lager dei Nazisti, piuttosto che sottomettersi e collaborare. E non cambiarono il loro atteggiamento neppure dopo aver assistito al martirio di 90 mila loro commilitoni barbaramente trucidati. Riccardo Lombardi dichiarò che “la Guardia di Finanza è stato il Corpo Militare che collettivamente partecipò, sin dal primo giorno, alla Resistenza”. Tale realtà storica, è stata confermata, con dichiarazioni e scritti ufficiali, tra gli altri, da Ferruccio Parri, partigiano e primo Presidente del Consiglio alla fine della guerra, da Leo Valiani, partigiano, senatore di Sinistra Democratica, di famiglia ebrea, e dal Tribunale di Guerra.
Le Fiamme Gialle sono orgogliose, al pari di altri partigiani, di aver concorso come Istituzione alla Liberazione. Questo particolare le rende diversa, anche se non possiamo dimenticare che moltissimi militari scelsero la Resistenza da singoli e non come organismo nel suo insieme. Da singoli, per esempio, agirono eroicamente due Medaglie d’Oro al Valor Militare: il vice brigadiere Salvo D’Acquisto, carabiniere, ed il maresciallo Vincenzo Giudice, finanziere, che si autoaccusarono di due attentati, non commessi, per salvare propri concittadini destinati per rappresaglia alla fucilazione, in quanto i veri autori non si erano presentati. Giudice vide morire con lui anche la moglie e la figlia.
Il 25 Aprile è Festa Nazionale della Liberazione, non della Resistenza, per cui vanno ricordate, ringraziate ed esaltate tutte le componenti che hanno permesso la vera Liberazione. Il Comune di Parma e alcuni della Provincia hanno permesso la partecipazione alla cerimonia solo alle associazioni partigiane, mentre il Governo aveva incluso anche le Associazioni Combattentistiche, ma tale indicazione è stata ignorata. Per fortuna il Presidente della Repubblica, che ha posto la giusta attenzione alla realtà storica, nel suo messaggio, ha chiaramente specificato: “Rivolgo dal Quirinale il mio saluto ai rappresentanti delle Forze Armate, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e della Confederazione fra le Associazioni Partigiane”.
Grazie Signor Presidente. La verità storica e i giusti valori vanno sempre rispettati. Parma quale Capitale della Cultura non può e non deve ignorare che la Storia è una parte di tutto rilievo della Cultura e, pertanto, va rispettata sempre e comunque.
Colonnello Donato Carlucci, Presidente dell’Associazione Nazionale Finanzieri in congedo della sezione di Parma
Le ricorrenze del 25 aprile e del 1° maggio 2020 sono state celebrate in modo totalmente inedito, come tutti abbiamo, purtroppo, sperimentato. Mai era avvenuto prima d’ora che, al di là delle doverose e irrinunciabili cerimonie istituzionali, non si potessero riempire le strade e le piazze per manifestare, ascoltare, riflettere e anche, come giusto, festeggiare.
Nonostante questo, le iniziative in streaming, le proposte istituzionali e delle varie organizzazioni e associazioni, il canto di bella ciao da finestre e balconi, le tante spontanee iniziative di personalità e dei cittadini stessi hanno testimoniato ancora una volta, forse persino più che in altre occasioni, l’attaccamento del nostro popolo a queste due ricorrenze e in particolare alla prima, diverse certamente per origini e obiettivi, ma accomunate dal legame profondo e indissolubile con la nostra Carta costituzionale e con i valori che essa esprime.
Riguardo al 25 aprile, di cui ricorreva il 75° anniversario, è evidente che il pensiero è andato anche al desiderio di una nuova liberazione, dalla malattia, dal pericolo, dalle restrizioni, dalle gravi difficoltà economiche e sociali, dalla paura dal presente e dal futuro. Questo collegamento fra due liberazioni, per quanto radicalmente e storicamente diverse, era ed è in qualche modo inevitabile. Nello stesso tempo, sarebbe un grave errore sminuire – o addirittura annacquare, come qualche esponente politico ha maldestramente tentato di fare – il senso vero e originario del 25 aprile – cioè la liberazione dal nazismo, dal fascismo, dagli stermini degli ebrei e di altre minoranze e dalla guerra. Come ha efficacemente affermato nel suo messaggio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – al quale ancora una volta è doveroso manifestare sostegno e riconoscenza per come sta svolgendo il suo mandato anche in questi mesi drammatici – è proprio dai valori che il 25 aprile esprime e attingendo ad essi che si possono trarre indicazioni anche per affrontare le difficoltà che stiamo vivendo. Mi sia consentito riprendere alcuni stralci del suo messaggio:
“Fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi ebbero parte, resistendo all’oppressione, rischiando per la libertà di tutti, significa ribadire i valori di libertà, giustizia e coesione sociale, che ne furono alla base, sentendoci uniti intorno al Tricolore.
Nasceva allora una nuova Italia e il nostro popolo, a partire da una condizione di grande sofferenza, unito intorno a valori morali e civili di portata universale, ha saputo costruire il proprio futuro.
Con tenacia, con spirito di sacrificio e senso di appartenenza alla comunità nazionale, l’Italia ha superato ostacoli che sembravano insormontabili.
La nostra peculiarità nel saper superare le avversità deve accompagnarci anche oggi, nella dura prova di una malattia che ha spezzato tante vite. Per dedicarci al recupero di una piena sicurezza per la salute e a una azione di rilancio e di rinnovata capacità di progettazione economica e sociale. A questa impresa siamo chiamati tutti, istituzioni e cittadini, forze politiche, forze sociali ed economiche, professionisti, intellettuali, operatori di ogni settore.”
Riguardo alla Festa del lavoro del 1° maggio, è doveroso ricordare tutti i lavoratori e le lavoratrici che nel corso di questa pandemia sono caduti nel compimento del loro dovere o si sono ammalati per questo, e tutte le persone impegnate su moltissimi fronti, da quelli più immediatamente urgenti – sanità, assistenza, cura – fino a quelle delle più varie categorie e mansioni sia nel settore pubblico che privato – che non elenco per evitare di sottacerne qualcuna; lavoratori e lavoratrici accanto ai quali hanno operato e operano anche centinaia di volontari, ai quali va il nostro grazie.
Ma il pensiero va anche a chi il lavoro lo ha perso o rischia di perderlo, a chi è precario e non ha ancora garanzie per il futuro, a chi un lavoro non lo aveva e lo stava cercando con fatica e ora rischia di fare ancora più fatica a trovarlo. Penso in particolare ai giovani che si stanno chiedendo se ci sarà spazio per loro nel mondo del lavoro dei prossimi mesi e anni. Queste preoccupazioni ci spingono a darci da fare per cercare nuove strade. Se sapremo imprimere profonde trasformazioni al nostro modo di vivere, produrre, consumare, muoversi e lavorare, potrebbe non solo migliorare la qualità della vita, ma anche sorgere nuove opportunità di impegno. Per questo, nonostante le enormi difficoltà che abbiamo di fronte, tutto il Paese – istituzioni, imprese, amministrazioni, sindacati e ogni altra realtà e categoria – , assieme all’Europa, è chiamato a promuovere una profonda innovazione, che susciti lavoro in settori sostenibili, organizzato in modo da essere compatibile con il lavoro di cura familiare e attività solidali, legale, equo, dando nuove opportunità a tutti, uomini e donne, abili e diversamente abili, giovani e meno giovani, affinchè l’art. 1 della nostra Costituzione non sia stato scritto invano.
(Comunicazione svolta in Consiglio comunale nella seduta del 4 maggio 2020)
Condivisibile quanto riportato dal dott. Campanini, che, peraltro, non spiega il perchè si celebri solo una componente che ha portato alla Liberazione e non tutte le altre, che sono state più che determinanti per la <>, come lo stesso ha sottolineato. Senza l’intervento delle Forze Armate, Alleate ed anche Italiane, non sarebbe stata possibile nessuna Liberazione, senza i militari che “creassero” dal nulla le formazioni partigiane, queste quasi sicuramente non sarebbero nate e la politica, solo un anno dopo, non le avrebbero “scoperte” e fatto il loro ingresso in campo. La richiesta è semplice: ricordare e riconoscere a tutte le Componenti il valore espresso e posto in evidenza, null’altro.