Scienza e decisione politica: spunti di riflessione
di Sandro Campanini – Con Daria Jacopozzi abbiamo organizzato alcuni incontri informali “a distanza” sugli interrogativi posti dalla pandemia. Uno di essi ha riguardato il rapporto tra previsioni o asserzioni scientifiche e decisione politica (leggi e/o provvedimenti di varia natura), che in realtà è sempre stato complesso e controverso e incrocia quotidianamente la vita delle istituzioni (che ce ne accorgiamo o meno) e dei cittadini.
Gli spunti che seguono sono personali e non riassumono un dibattito molto ricco e vario; sia clemente chi segue questi temi con competenze molto maggiori delle mie,
Una piccola premessa.
Mi pare che non siano molte le occasioni in cui scienziati e decisori politici o anche solo scienziati e cittadini discutono e si confrontano. Non mi riferisco ai convegni o audizioni ufficiali, a livello istituzionale, ma alla prassi della vita civile delle nostre comunità. In questo senso è da apprezzare la “contaminazione” che avviene negli appuntamenti di “Angelus Novus”. Nel corso del nostro incontro un partecipante ha amaramente rilevato che spesso la discussione tra scienziati e cittadini è inficiata dall’impossibilità, per i primi, di essere ascoltati senza pregiudizi e precomprensioni; altri hanno rilevato, d’altro canto, l’importanza di uno sforzo di chiarezza comunicativa degli esperti che renda possibile, senza banalizzazioni, il dialogo. La pandemia ha messo ancora più in evidenza che questo nodo è di cruciale importanza e richiede una disponibilità e un’apertura mentale di ogni parte in causa (scienziati, istituzioni, cittadini).
Il tema del rapporto tra scienza e decisione politica non è certo nuovo. Da quando la scienza ha – giustamente – “preteso” una sempre maggiore autonomia – potremmo dire con Bacone, ma la questione era emersa anche prima, si pensi solo al caso Galilei – questo rapporto si è trasformato ed evoluto fino ai giorni nostri, con molte sfaccettature, enormi passi avanti e anche gravi contraddizioni (come l’uso disumano della scienza da parte dei regimi totalitari).
La storia recente ci presenta una situazione in cui la ricerca gode di enormi spazi (la sua autonomia è riconosciuta anche dagli artt. 9 e 33 della Costituzione), ma si gioca in modo differente a seconda che sia finanziata da istituzioni pubbliche o private, con, nel secondo caso, una inevitabile relazione con l’obiettivo di conseguire risultati economici (il che naturalmente non impedisce che le scoperte possano essere utili a tutti).
Ci sono però situazioni in cui il ruolo della scienza risulta particolarmente rilevante, se non decisivo, per l’assunzione di decisioni da parte della politica.
Qui le cose si complicano, perché diversi sono i modi con cui possono essere interpretati sia l’autonomia dei due ambiti, sia la loro “esigenza” di influenzare il comportamento dell’altro, sia, per converso, la “chiamata in causa” reciproca a sostegno del proprio agire.
L’autonomia può scivolare in una pretesa di “irresponsabilità” di ciascuno dei due e di “riversamento” di tale responsabilità (o magari “colpa”… ) sull’altro; l’esigenza di influenzare le scelte dell’altro può sconfinare in indebite invasioni di campo; la “chiamata in causa” può avere intenti strumentali, dall’una o dall’altra parte.
È davvero un equilibrio sempre difficile da trovare, ancora di più in situazioni di crisi e di tensione sociale o quando sono in gioco valori e principi etici.
Tenendo poi conto che “scienza” e “politica” (comprese le istituzioni, che ne sono l’espressione più importante) non sono certo due monoliti: nella comunità scientifica ci sono opinioni e sensibilità diverse e idem nel mondo politico/istituzionale e nelle sue varie articolazioni, per non parlare poi della società, plurale per definizione.
Forse non si tratta di trovare una formula valida per sempre, ma di cercare una metodologia di lavoro la più positiva, onesta, trasparente e il più efficace possibile.
Senza dimenticare tuttavia che, in ultima istanza, non possono che essere i rappresentanti delle istituzioni, in quanto a ciò “delegati” dai cittadini, a doversi assumere la responsabilità delle scelte, di cui va data ragione in modo trasparente e comprensibile.
In questi mesi ci sono stati sentimenti polarizzati che a mio avviso devono far riflettere sia chi opera in ambito scientifico che chi ha ruoli istituzionali – ma anche i nostri concittadini.
Da un lato i media hanno cercato in ogni momento il “parere dell’esperto o dell’esperta” ; la politica, dal canto suo, aveva il dovere di individuare essa stessa le figure a cui affidare le valutazioni scientifiche del caso. Fatto in sé positivo, in un periodo storico in cui anche il parere di uno scienziato autorevole può essere messo in discussione da chiunque sulla base della “propria opinione”. Dall’altro lato, una certa diversità di pareri, anche tra gli scienziati, sul fenomeno del corona virus, la sovraesposizione mediatica di qualcuno, nonché, persino, cambiamenti di opinione da parte di alcuni, hanno rischiato di mettere in serio pericolo la fiducia nelle capacità della scienza. Che , forse non comunica con il dovuto coraggio che non tutto è conoscibile e il progresso scientifico è costellato di dubbi, prove, errori e correzioni, il che non significa mettere sullo stesso piano competenze approfondite e opinioni qualsiasi. La mia impressione è che tale fiducia sia ancora diffusa, ma credo sarebbe utile una riflessione su come la comunità scientifica possa attrezzarsi per cercare di esprimersi in modo più condiviso, soprattutto di fronte a problemi nuovi. Inoltre, come si diceva in precedenza, va perseguito un grande sforzo per risultare comprensibili: il cittadino del 21mo secolo non è più disposto a una fiducia cieca e incondizionata.
Sul lato della decisione politica, c’è il rischio da una parte di non ascoltare determinate indicazioni perché troppo scomode o, al contrario, di usarle per “liberarsi” dalla responsabilità di scelte impopolari. In tal senso, ai politici è richiesto innanzitutto uno sforzo di attenta comprensione dei dati forniti dagli scienziati, anche confrontando più pareri, e trasparenza nel comunicare il rapporto esistente tra questi e gli altri elementi di contesto che incidono sulla decisione: essa infatti rappresenta inevitabilmente una sintesi che deve tener conto di una complessità e varietà di fattori.
La responsabilità della decisione finale è dunque affidata alla politica: rimanendo nell’ambito dei regimi democratici, non è detto che i rappresentanti eletti assumano le decisioni più corrette: questo è uno dei rischi che presenta la democrazia, la quale però, contiene in se stessa anche fattori che possono prevenire ed eventualmente correggere gli errori: la discussione politica e nelle sedi istituzionali, la divisione dei poteri, il dibattito pubblico, la libertà di espressione di ciascuno, la libera stampa… Chi dunque ritiene più “efficace” un regime autoritario – a parte l’errore sul piano etico – sbaglia, perché nulla garantisce che la decisione sia di per sé migliore e, in più, la mancanza di controllo e di discussione pubblica rende impossibile (anzi, illecito!) evidenziare e correggere le decisioni sbagliate.
Un’ultima osservazione. Si è ricordata l’autonomia della ricerca scientifica. Nello stesso tempo, è giusto porsi qualche domanda su quali possano e debbano essere le finalità di tale attività. La pandemia che abbiamo vissuto e stiamo vivendo – ma gli esempi da citare sono molti – mostra che ci sono ricerche più utili al benessere umano (in questo caso una cura e/o un vaccino) e altre meno (pensiamo agli armamenti, a certi fertilizzanti o diserbanti, alle fonti fossili, ecc. ). In questo senso, in un approccio che non può essere – per l’appunto – impositivo ma nemmeno indifferente, anche la politica – e la stessa opinione pubblica – dovrebbe impegnarsi a dare una direzione di marcia. In particolare, la ricerca universitaria, che purtroppo in Italia non gode ancora del sostegno finanziario che meriterebbe, rappresenta un possibile spazio di “libertà” e “gratuità”, rispetto a quella industriale, il che non la rende certo meno “utile”; al contrario svolge una funzione essenziale, potendo guardare “più avanti” e operare con minori condizionamenti.
Sandro Campanini
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