Statue, libri e Padre Lino
Di Antonio Battei – Da molte parti si levano voci sdegnose a stigmatizzare i dimostranti (forse meglio dire vandali) che, in America (ora anche da noi nel caso singolo di Montanelli), danneggiano statue.
D’altronde, e solo per citare alcuni esempi, nel corso della storia si sono verificate gravi distruzioni come quando Teodosio vieta le religioni pagane e i cristiani, nel 321, distruggono il tempio di Serapide. Non ha vita migliore la grande Biblioteca di Alessandria distrutta col fuoco et similia per ben quattro volte: nel 48 a.C. da Giulio Cesare, da Aureliano nel 270 d.C. da Teodosio nel 321 d.C. e, da ultimi, dagli arabi nel 842 d.C. Come nella notte del ‘Bücherverbrennungen’: roghi di libri illuminano una nera notte il 10 maggio del ’33, a pochi mesi dall’ascesa al potere di Hitler, a Berlino poi in ogni altra città della Germania. Poi i Talebani a distruggere le gigantesche stupende statue del Buddha.
Insomma la cultura, ed i libri in particolare, da sempre fanno ‘paura’ e, ancor ora, ‘spaventano’: è vero, non vengono più bruciati, vengono ignorati.
Ma torniamo alle nostre statue danneggiate, alcune delle quali rappresentano o rappresenterebbero, colonialisti o, peggio, razzisti. E’ anche vero che i conquistatori spagnoli portoghesi ecc… non conquistano ma invadono, depredano, saccheggiano, uccidono e massacrano intere pacifiche inermi popolazioni sfruttandole, incatenandole, rendendole schiave nel nome di un sovrano o, peggio, sotto le insegne della Croce di Cristo: iniziano le colonie.
E l’uccisione di un afroamericano è la miccia che accende sdegno, rabbia, odio, verso chi ha commesso, ahimè in uniforme, un simile delitto.
Ed allora, prima delle statue, dei monumenti, dei libri, prima di tutto ci sia l’uomo da tutelare, salvaguardare, aiutare, confortare anche: prima di tutto, al centro dell’indignazione, ci sia chi uccide, chi fomenta odio razziale, chi erge muri, chi divide chi non accoglie. Poi anche ci si indigni pure per i marmi per i monumenti, anche per quelli che in marmo non sono, come a Parma quello che celebra Giuseppe Verdi abbattuto dalla bieca speculazione edilizia più che dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale.
Certo i monumenti spesso testimoniano anche cultura e sacrifici come i modesti cippi, con scritte e fotografie logorate dal tempo, messi lì a fianco di polverose strade, a ricordarci il giovane sangue per la libertà versato dalle atrocità dei nazifascisti: quegli stessi modesti solitari cippi spesso lordati da mani sacrileghe.
E fintanto che a Parma, come in qualsiasi altra città, un solo uomo dorma per strada, uno solo non abbia cibo a sufficienza, uno solo non abbia speranza di una vita dignitosa, fintanto non ci saranno strutture permanenti ad accogliere gli ultimi, chi è rimasto indietro, chi è solo, fintanto che Parma non moltiplichi i luoghi come la Mensa di Padre Lino, non si organizzino più le cene dei mille che offendono chi non ha di che sfamarsi e offendono chi ha un briciolo di sensibilità.
Basta eventi: sia Parma 2020 o 2021 capitale di una cultura che sa mettere al bando la povertà in un territorio libero dalla schiavitù della miseria, insomma diventi così Parma davvero Capitale esempio per le altre città ove siano un tetto e l’istruzione alla portata di tutti i cittadini di tutti i colori di chi, dalla vita, non ha avuto niente.
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