di Maria Inglese – La pandemia da coronavirus ha rappresentato un evento-spartiacque in vari ambiti del vivere comune: ha portato lutti, malattie e ferite in diversi nuclei familiari, ha investito il sistema di assistenza sanitaria del nostro territorio impattando soprattutto sui presidi ospedalieri, ma anche sui sistemi di cura e di assistenza territoriali, ha condizionato la tenuta dei legami sociali, il sistema produttivo, l’educazione, la cultura. Si potrebbe usare, a questo riguardo, l’espressione di ‘cambiamento drammatico del Sé’ (Ceretti e Natali), una definizione usata in ambito psicologico per descrivere dei cambiamenti improvvisi e profondi della struttura dell’individuo (quali, ad esempio, una esperienza di violenza o un trauma psicologico); applicato al contesto comunitario e sociale si manifesta con un impatto emotivo violento su famiglie, sui gruppi di lavoro, imprese, aziende, scuole. La comunità è stata ferita e, passata la fase dell’emergenza, diventa necessario occuparsi del ‘dopo’, del ritorno ad una dimensione routinaria, normale. Sapendo che esiste un ‘prima ed un dopo’, che la vita di prima non ritornerà, che la tenuta dei legami e dei patti sociali sono destinati a modificarsi per quanto successo. Nei giorni che sono seguiti all’emergenza si fa più urgente individuare quel ‘dopo nell’ora’.
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