La conca di marmo rosso posta sotto le stelle
di Donato Carlucci – Finalmente il Vittoriale vede realizzato l’anfiteatro così come era stato ideato Gabriele D’Annunzio: il “Parlaggio”, realizzato dall’architetto Gian Carlo Maroni, “conca marmorea sotto le stelle”, con gradinate di marmo rosso di Verona, capace di contenere 1500 spettatori, riproduce l’antica struttura del teatro greco.
Annamaria Andreoli, già presidente della Fondazione “il Vittoriale d’Italia”, durante una sua visita a Parma, descrisse in maniera esaustiva e coinvolgente la figura del grande personaggio. “Mi sento ‘quasi vedova’ di D’Annunzio per quanto ho dedicato allo studio della sua figura e della sua vita in ogni aspetto” ha esordito nell’incontro, di interesse storico e culturale che meriterebbe il titolo: “la Parma di D’Annunzio”.
In effetti, nella nostra città, lo scrittore-soldato aveva grandi amici, basti pensare ad Arturo Toscanini e ad Alcide De Ambris.
Nei rapporti con il primo, è celebre la frase “tu con la tua bacchetta ed io con la mia penna faremo una musica sola” ed è indicativa della stima che il maestro avesse per lui, al punto da fargli visita a Fiume dove gli dedicò un concerto.
Non possiamo disconoscere come D’Annunzio sia stato protagonista del grande rinnovamento della società italiana del tempo: ha inventato la Versilia “il paese più bello dell’universo” e la vacanza estiva al mare con l’abbronzatura, il volto che “s’indora”, quando le vacanze erano autunnali e il viso colorato dal sole era segno di manovalanza e duro lavoro di contadini e muratori, non certo uno status symbol.
Ha inventato slogan, come “largo ai giovani”, “la fatica non fatica” come amava definire lo sport, ha immaginato come sarebbe cambiata, evolvendosi, la vita nel suo secolo, ha previsto i passi da gigante dell’industria, per la quale si batteva perché l’Italia accelerasse la modernizzazione e la macchina affrancasse l’uomo dalla fatica permettendogli di avere più tempo libero.
Per queste posizioni, degne di un valido sindacalista, D’Annunzio era eccellentemente coadiuvato da un altro parmigiano, seppure d’adozione, Alcide De Ambris, giornalista e sindacalista-rivoluzionario che nel 1908 era diventato presidente della Confederazione generale del lavoro.
Questi si batteva contro lo sfruttamento dei lavoratori, richiedeva il salario minimo garantito e il voto alle donne, rivendicava, al pari di D’Annunzio, la pari dignità dei lavori manuali con quelli intellettuali.
Per questo, volle interessarsi dell’epopea fiumana e di quanto il patriota stesse sviluppando dal punto di vista sociale nella città liberata: dalla loro collaborazione nasce, nel 1920, la ‘Carta del Carnaro’, che tutela i diritti individuali e al lavoro, la giustizia sociale che riconosce a ciascuno quel che gli è dovuto, la bellezza dei luoghi e dell’arte.
Tale Costituzione, che per molti versi ha caratteri anticipatori della nostra Carta, è stata redatta quasi completamente dal De Ambris, tranne le parti relativa alla Musica ed alla Conservazione dei beni artistici, che il poeta aveva voluto scrivere personalmente per tutelare, nella massima legge, il diritto di tutti al linguaggio universale della musica, vera vocazione italiana, e alle bellezze culturali, per le quali le città italiane sono uniche al mondo.
Ottenne inoltre che la pineta di Ravenna, legata alla memoria di Dante, fosse protetta come riserva naturale.
D’Annunzio, che già prima dei 30 anni, come nessuno al mondo, aveva avuto successo strepitoso tanto da vedere le sue opere tradotte in francese, inglese e tedesco, ebbe il coraggio di denunciare il connubio, a volte scandaloso, tra politica, finanza e industria. Denunciava con forza “i politici di professione che non sanno affrontare i rivolgimenti terribili in Europa”.
Nulla di nuovo oggi!
Sia D’Annunzio sia De Ambris dopo l’evoluzione del fascismo, si ritirarono, l’uno a Parigi, l’altro a Gardone, sul lago di Garda. De Ambris pur invitato da Mussolini, che aveva conosciuto in gioventù quando lavoravano all’Avanti, a rientrare in Italia con onori, rifiutò sdegnosamente. D’Annunzio non lasciò mai il Vittoriale per recarsi a Roma, pur essendo indubbiamente il cantore della Capitale.
Al contrario, intrattenne ancora fitta corrispondenza con Toscanini, che nel 1926 diresse alla Scala il “Martirio di San Sebastiano”, l’opera che D’Annunzio compose con Claude Debussy.
Tra le “intuizioni” di D’Annunzio, troviamo il motto della Guardia di Finanza “nec recisa recedit”, che aveva suggerito “alle belle Fiamme Gialle, che svolgono un opera troppo poco conosciuta, ma non meno nobile, meno apprezzabile, meno ispirata a gloriosissime tradizioni, che io son fiero di esaltare”.
Per questo fu nominato appuntato ad honorem del Corpo.
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