Islam e Occidente
di Francesco Gianola Bazzini
Provare ad inserirsi nel dibattito aperto da Adel Jabbar e sviluppato da Alessandro Bosi può apparire un atto di presunzione. L’autorevolezza dei due interlocutori mi invita però ad alcune considerazioni, che i miei studi ormai pluriennali sull’Islam politico e sociale mi suggeriscono. In primis una notazione: il confronto a distanza tra idee, lo trovo il metodo più consono a far emergere riflessioni di spessore, come ho colto nelle parole di Adel così come in quelle di Alessandro.
Da troppo tempo ormai siamo avvezzi ad essere investiti da dibattiti sui media dove alla pochezza delle idee fa da riscontro l’arroganza e la prepotenza degli interlocutori, che instradati da esperti di comunicazione tendono sempre più a sottolineare gli argomenti divisivi in una sorta di match pugilistico dove il pubblico (ed è questa la considerazione più amara) non è in attesa di contenuti, ma di vincitori e vinti. Il dialogo a distanza, così come le epistole al posto delle mail o degli sms invita alla riflessione , a far emergere ciò che di più concreto anima il nostro punto di vista. Ha un sapore remoto e purtuttavia così necessario in un’ epoca in cui si accumula tutto e il contrario di tutto, tra prese di posizione, smentite e controsmentite.
Poco tempo fa ho letto un dibattito a distanza di fine ottocento su una rivista culturale d’epoca, di cui darò conto nella mia prossima pubblicazione sul tema Islam Occidente. Lo spessore dei contenuti e del linguaggio di grande levatura. A costo di apparire saccente o immodesto credo che la nostra ‘Prospettiva’ abbia inaugurato un nuovo modo di interagire nel dibattito interculturale, su questo come sui diversi temi trattati. Tutto ciò nel solco di quelle riviste politico-culturali di cui si è persa la memoria, ma di cui si sente un estremo bisogno. Non mi si accusi per questo mio sentimento nostalgico, di classismo culturale.
Venendo al tema: credo che una contrapposizione vera e propria tra Islam e Occidente si sia sviluppata su di un piano più politico che culturale. Ed è grossolano errore. E questo vale tanto più per noi italiani, che come greci o spagnoli abbiamo avuto con le società musulmane un rapporto molto diretto. Un rapporto è vero fatto di contatti fra civiltà così come di scontri e di conflitti, ma che ha lasciato un segno tangibile di compresenza in molte realtà. Lo si vede nell’arte intesa come architettura, negli usi e nei costumi, nella fusione delle etnie per arrivare alla cucina ed ai rapporti familiari. E’ la spiritualità dei popoli mediterranei, sicuramente molto profonda, il senso dell’ospitalità e dell’amicizia. E’ il calore del clima e a volte l’avarizia e l’aridità dei reciproci territori, che ci rende così vicini sia negli entusiasmi che nelle manifestazioni più intense e incontrollate. Condivido il pensiero del nostro orientalista Giorgio Levi della Vida, quando affermava che islamismo e cristianità (che sicuramente permea il ns. concetto di occidentale) sono gli elementi insieme all’ebraismo, di una comune civiltà dei popoli del Mediterraneo. Se di Oriente in contrapposizione ad Occidente si deve proprio parlare, affermava Levi Della Vida, bisogna spingersi oltre, verso quei paesi come India e Cina dove cultura e spiritualità sono completamente diversi. Eppure noi sappiamo, sono passati molti anni dagli scritti del nostro studioso, che anche con quelle realtà dovremo fare i conti (già li facciamo); e sarebbe molto utile trovare un modo comune di rapportarci con tutti coloro le cui radici si sono intrecciate da tempi remoti.
Oggi i flussi migratori provenienti dai paesi in cui è prevalente la religione musulmana, ci presentano l’opportunità di un rinnovato rapporto di reciproco scambio su diversi piani. Come afferma Bosi molti nostri quartieri hanno assunto caratteristiche orientali: nei commerci, nel modo di abbigliarsi, nel cibo e nella preghiera. E in Italia, me lo si lasci dire ed è il comune sentire di molti giovani musulmani, queste realtà non sono vissute come delle aree di emarginazione come in Francia o in Inghilterra. Chi viene qui non si sente per dirla con il sociologo algerino Malek Bennabi, un soggetto colonizzabile, ma pur tra mille difficoltà, un essere umano, un possibile soggetto attivo per la costruzione di un futuro condiviso.
Islam politico e sociale: che religione e politica tendano a confondersi è del tutto naturale, del resto da noi come in molti paesi europei il vessillo della cristianità e stato spesso accomunato da diverse forze politiche ai propri simboli ed ai propri principi, in quale misura e con quale coerenza non è questa l’occasione per dibatterne . Questo intreccio è tanto più vero per una religione dove il campo di azione tra Dio e Cesare è molto sfumato. L’Islam di per se è molto ricco di precetti giuridici e morali oltre che teologici. Non deve stupirci se le diverse linee di pensiero politico che il sociologo libanese Youssef Choueiri definisce non a torto ‘fondamentaliste’ ( con un termine declinato in positivo. Forse il Santo di Assisi ed il francescanesimo non erano per molti versi fondamentalisti?), si spingono alla ricerca delle proprie radici religiose (fondamenti) riemergendo ciclicamente, in particolare nei momenti in cui la crisi identitaria delle società di riferimento si fa più acuta. Non è un caso se il fiorire degli studi in proposito da Al Wahaab passando per Afghani, Abdu per arrivare ad Al Banna, Qutb e Mawdudi, per citarne solo alcuni, ha coinciso con la fine dell’Impero Ottomano (che ha rappresentato per secoli l’unità della comunità musulmana la ‘Umma’) e con l’inizio dell’aggressione colonialista occidentale. Aggressione non soltanto militare ed economica ma soprattutto culturale e di costume. I diversi pensatori, spesso con accenti diversi, si sono sforzati ed è questo il denominatore comune di delineare una “società tipo” in cui i principi del Corano e della Sunna fungessero come una sorta di Costituzione a cui si ispirassero legislazione ed istituzioni. Oggi questa esigenza non è più limitata alle società di provenienza.
La forte presenza musulmana nelle società occidentali rende necessario un confronto a più voci nel delineare la società del futuro. Il bisogno di sottolineare una propria identità non deve essere sottovalutato. Il tentativo di imporre un proprio modello (ma quale poi?), avrebbe come risultato emarginazioni e conflitti. E’una sfida difficile ma nel contempo affascinante di cui una classe intellettuale che si rispetti deve farsi carico. In questi anni attraverso lezioni universitarie che ho avuto il privilegio di tenere per due corsi di studio, proprio sul tema dell’Islam Politico, abbiamo avuto modo di conoscere e coinvolgere diversi rappresentanti giovani e meno giovani di questa grande cultura. Il rapporto di collaborazione che si è creato è un piccolo esempio di intercultura attiva. Partendo dalla lettura di pagine di diversi autori abbiamo sviluppato interessanti riflessioni su temi quali welfare, religione e politica, religione e universo, differenze di genere, nazioni e nazionalismo. Sono sempre più convinto che le capacità e le intelligenze di questi giovani studenti e dei rappresentanti delle loro comunità vanno valorizzate, sono un patrimonio che non va disperso. Saranno parte attiva di una prossima pubblicazione sul tema, per dare un contributo concreto alla costruzione della società del futuro.
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