Cancel Bottego?

di Andrea Galletti

Nelle settimane e nei mesi di questa convulsa estate 2020 sono esplose in diverse parti del mondo, anche se in maniera ineguale, forti tensioni legate alle discriminazioni razziali a cui ogni società non è estranea. Si è parlato anche del cancel culture, ossia della possibilità di boicottare e di rimuovere tutto ciò che rimanda o che si ritiene colpevole di ledere i diritti delle minoranze o che rende manifesta una discriminazione. In particolare l’attenzione dei media si è spesso concentrata sugli atti di vandalismo compiuti contro diverse statue che rappresentano un passato razzista e oppressore. In Italia ha avuto notevole risonanza il caso della statua di Indro Montanelli, imbrattata perché il celebre giornalista si era vantato spesso del suo matrimonio attraverso compravendita con una ragazzina abissina di 12 anni durante il servizio militare nelle colonie italiane.

Se tali reazioni possono apparire sproporzionate, è tuttavia ravvisabile un elemento di legittimità in azioni di certo estreme, ma comprensibili se collocate in un contesto di estrema disuguaglianza. L’obiezione ‘classica’ alla rimozione delle statue è quella secondo cui esse rappresentano la nostra storia e che quindi eliminarle vorrebbe dire eliminare parte di noi. Senza dubbio abbattere o imbrattare di vernice un monumento pubblico non è un’operazione neutra e senza implicazioni, ma al contempo non significa privarci di un brandello della nostra identità. Il termine, spesso abusato e utilizzato in maniera piuttosto semplicistica ad esempio nella retorica sovranista cui sempre più spesso facciamo i conti, è da collegare a quello di ‘cultura’. Entrambi esprimono nella vulgata comune un’immagine di rigidità che ad un’analisi più attenta non regge. Un qualsiasi studioso di scienze umane non avrebbe difficoltà a dimostrare come entrambi i concetti celino al loro interno una natura improntata al costante mutamento, che è ciò che rende le società vive e in grado di assimilare le costanti trasformazioni cui sono fatte oggetto attraverso fattori interni ed esterni. L’uso scorretto delle due parole è trasposto materialmente dalle statue: dietro ad un manufatto che dura nel tempo si trasmette un’idea errata di immutabilità. In risposta all’obiezione evidenziata si può affermare che non è del tutto corretto sostenere che le statue vanno lasciate al loro posto perché fanno parte della nostra storia e ne raffigurano alcuni momenti salienti: esse rappresentano quella parte di storia che si è deciso di raccontare e rendere pubblica.

Come inserire Parma nel discorso? Bisogna togliere la statua di Garibaldi dall’omonima piazza? L’eroe dei due mondi per ora può restare al suo posto, è la presenza di un’altra effigie che desta qualche perplessità: quella del concittadino Vittorio Bottego. Militare di carriera ed esploratore, il Nostro si mise in mostra per le sue esplorazioni geografiche, che lo condussero a tracciare il corso dei fiumi Giuba e Omo. La sua fine non fu delle più felici però, dato che trovò la morte in terra africana per mano delle popolazioni locali nel 1897. Come collegare questa figura al discorso di più ampio respiro fatto in apertura? La statua posta di fronte alla stazione ferroviaria ricorda e celebra proprio la scoperta dei due fiumi ed esprime la volontà di celebrare la figura e le gesta dello scopritore, a partire dalla prossemica della statua. Bottego è posto in alto, mentre ai suoi lati ma più in basso, sono posti Giuba e Omo, personificati nelle immagini di due ‘selvaggi’ che appaiono sottomessi e soggiogati di fronte alla forza emanata dalla figura ieratica dell’esploratore. L’impostazione spaziale dell’opera riflettono la volontà di conquista e di sopraffazione che, lo si voglia o meno, ha contraddistinto tutta la civiltà che noi chiamiamo occidentale nel corso della sua storia, determinando almeno fino ad oggi le sorti dell’umanità, nel bene e nel male.

La volontà di collocare la statua e di conseguenza noi occidentali sopra gli ‘altri’ in virtù delle nostre conquiste, sia tecnologiche che materiali, continua tuttora a essere viva. Un atteggiamento simile si può riscontrare anche nelle riflessioni poste a introduzione della biografia dedicata all’esploratore nel centenario della sua morte: «Non eravamo (come s’usa dire) nel continente africano, mitigato dai servizi, dagli hotel, dalle rest-house, dall’andare e venire di gente. Eravamo esattamente in grembo all’Africa com’è, all’Africa com’era, irsuta e insieme dolcissima, severa quanto affidabile a volerla intendere, maschia e anche femmina, comunque paludata di un’oscurità così folta da incutere più rispetto che paura» (Bonati, 1997). Dopo un secolo l’idealizzazione in chiave colonialista di una realtà geografica e politica dalla storia e complessità notevole rimane inalterata e appare semplificata come nel più sciatto dei romanzi.

Qualcosa però è cambiato dai tempi in cui Bottego conduceva le sue avventurose esplorazioni nel ‘continente nero’. Dopo secoli di sfruttamento ‘a casa loro’, depauperando terre, risorse e intere civiltà, il flusso, anzi il ‘reflusso’ della storia ha portato coloro che un tempo erano i conquistati a cercare un futuro migliore nella terra dei conquistatori. Spesso però la ricerca non sembra dare molti frutti, anzi, chi passa il Mediterraneo rischiando la vita finisce di frequente nella rete della criminalità organizzata, dando un argomento in più a chi vorrebbe vietare i soccorsi e pensare prima agli italiani. Beffati due volte da un insolito e tragico destino. Vicino alla statua si trovano spesso esempi simili di tali dinamiche, all’interno di una stazione ferroviaria che spesso è luogo di traffici poco leciti. Il risultato finale è che si dà la caccia al ‘ne*ro’ perché ormai spacciatore per antonomasia, senza ragionare sulle cause che portano certe persone a compiere determinate scelte, sempre che di scelte si possa parlare. Sulla scorta di proclami della politica nazionale e locale si concentra l’attenzione sullo spacciatore piuttosto che su chi rifornisce le piazze e chi fa uso di sostanze.

Può sembrare che in tutto questo discorso il nostro esploratore sia lontano, ma non lo è, visto che incarna una tradizione di pensiero che ha come estremo proprio la demonizzazione dello straniero, specie se ha la pelle più scura di quella del loggionista medio del teatro regio. Con ciò non si vuol dire che è colpa di Bottego se Parma è una città razzista, ma si può senza dubbio affermare che Bottego e la sua statua sono espressioni di quella mentalità che ha portato Parma ad esserlo. L’obiezione a un’affermazione simile potrebbe basarsi sul fatto che quelli dell’esploratore erano tempi diversi, dove si ragionava in altri termini, così come si fa spesso nel caso di Montanelli e della sua ‘sposa’. Si può rispondere che ciò è senza dubbio vero, ma che come detto in apertura le mentalità cambiano con la storia e proprio per questo motivo, per dare un segnale di forte discontinuità verso il nostro passato e verso il nostro presente razzisti, è ora di togliere la statua. Non serve distruggerla, si può collocarla nel museo dedicato all’esploratore. Non ha senso rinnegare completamente questo capitolo della nostra storia, basta dargli un po’ meno lustro mettendolo in un museo e non lasciando che l’effigie domini uno spazio pubblico in cui sempre più spesso i cittadini, egualmente degni di far parte della società, hanno colori e parlano lingue diverse pur essendo.

Elenco delle opere citate

Bonati Manlio, 1997, Vittorio Bottego: un ambizioso eroe in Africa, Parma, Silva.

La presente riflessione vuole dare un punto di vista nuovo rispetto a un monumento della nostra città, anche alla luce dei nuovi dibattiti sul tema del razzismo e dell’inclusione che hanno animato la società civile in tutto il mondo nell’ultimo anno. La proposta contenuta prevede lo spostamento la statua dell’esploratore Vittorio Bottego, divenuto ormai simbolo di un imperialismo inaccettabile di fronte a quella che dovrebbe essere una società sempre più aperta alle diversità che, lo si voglia o meno, fanno ogni giorno di più parte della quotidianità dei parmigiani.

Le trasformazioni della società e della composizione ‘etnica’ cittadina impongono una riflessione sul significato attribuito ad un monumento che per sua natura appare divisivo.

Bottego, statua, razzismo, inclusione, spaccio, identità.

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