Fraternità e religioni
di Giancarlo Anello
La recente lettera del Santo Padre Francesco, intitolata Fratelli tutti. Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, pone il legame della fratellanza – sia essa intesa in termini biologici, ideologici o metaforici – al centro di una articolata riflessione sulle relazioni prosociali nel mondo contemporaneo e globalizzato. L’enciclica analizza e valorizza la nozione di fratellanza nelle sue possibili sfere di applicazione sociale, come la politica, l’economia, la pace mondiale, il dialogo interreligioso. Quest’ultimo ambito circoscrive il perimetro della mia breve riflessione. Nel riferirsi ad esso, il pontefice si orienta all’interno di una serie di documenti internazionali in cui la fratellanza viene messa al servizio della diplomazia religiosa, nella costruzione di un rapporto cooperativo tra confessioni religiose in passato indifferenti le une alle altre, ove non in competizione o, addirittura, in aperto contrasto.
Fratellanza e dialogo interreligioso
Prima di entrare nel merito di questi riferimenti, va fatta una premessa sul rilievo della fratellanza nel dialogo fra le religioni: nonostante tale vincolo sia ancestrale, universale e valorizzato in tutte le tradizioni religiose, foriero di molteplici e specifici obblighi, il suo utilizzo in termini inter-confessionali rappresenta un elemento di rarità. Più spesso, la fratellanza è stata interpretata in chiave intra-confessionale, per corroborare i rapporti tra correligionari, assimilandoli, appunto, a quelli tra fratelli, enfatizzandone i presupposti ideali e gli effetti normativi. In tal senso, la similitudine tra fratellanza e correligiosità è frequente negli schemi associativi religiosi, nonché nei relativi usi linguistici, come quelli di ordini religiosi, confraternite laicali, movimenti politici (‘la fratellanza musulmana’), affiliazioni dal sapore parareligioso, come le massonerie.
L’enciclica, a riguardo, fa un passo in altra direzione: in molti punti del testo e in molti risvolti applicativi, essa partecipa il sentimento di fratellanza, fatto di benevolenza e di reciproca cura, a rappresentanti e membri delle diverse confessioni. In diversi paragrafi (§.5, 29, 131, 136, 192, 275, 283, 285) l’enciclica cita esplicitamente un recente documento, siglato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, tra il pontefice di Roma e il Grande Imam della moschea del Cairo, al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, intitolato Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, in cui il vincolo naturale esistente tra fratelli biologici viene metaforicamente esteso a tutti gli appartenenti del consorzio umano. Non solo: in seconda battuta, tale reinterpretazione è messa a servizio della cittadinanza in termini contrattuali e inclusivi, col fine pratico di tutelare le minoranze religiose negli ordinamenti in cui esse sono minacciate. Questa nozione di fratellanza non è solo emotiva o sentimentale, ma piuttosto espressione di premesse teologiche che assumono valore e significato politico. In tali termini, il riconoscimento della fraternità tra individui religiosi è ‘verticale’ e non ‘orizzontale’: essa non si basa su una parentela religiosa tra i fedeli di una religione specifica, ma sulla trascendenza e sulla fede individuale in Dio. In tal senso, il significato teologico-politico di ‘fraternità’ può influenzare la categoria giuridica di ‘cittadinanza’ tramite i diritti umani: in un mondo di tutti fratelli (e sorelle), si hanno sicuramente uguali diritti e doveri quali cittadini, sotto la protezione di leggi che perseguono la giustizia sociale. In un tale scenario, l’idea di ‘minoranza’ andrebbe auspicabilmente superata, per lasciare il campo a una tramatura più spessa di correlazioni tra individui qualificati, persino civilmente, dalla loro religiosità, piuttosto che dalla loro appartenenza confessionale[1].
Religioni “sorelle” contro i fondamentalismi
Di là dal riferimento agli specifici documenti, è però l’enfasi generalizzata sui caratteri affettivi, solidaristici, caritatevoli del sentimento di fratellanza espressa nella lettera enciclica che rivela il vero potenziale che tale concetto pare poter offrire al dialogo tra le religioni (§.180). Una simile concezione, basata sulla pari dignità personale, pare antitetica ai fondamentalismi e foriera di una virtuale alleanza tra confessioni, in funzione di un dialogo perpetuo e paritario (§.213-214):
«Se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. […]
Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento solido a tali principi. Ciò non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun sistema morale, dal momento che i principi morali fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno spazio per il dialogo».
Nell’enciclica, i fondamentalismi religiosi sono descritti come processi di involuzione e di chiusura antagonistica che si oppongono al rapporto di benevolenza e cura incondizionata che pure può sussistere tra fratelli, senza che ciò comporti la necessità del conformismo e dell’assimilazione (§.191 e 192):
«Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché risuonino le diverse voci. È vero che le differenze generano conflitti, ma l’uniformità genera asfissia e fa sì che ci fagocitiamo culturalmente. Non rassegniamoci a vivere chiusi in un frammento di realtà».
In altri termini, pure nella consapevolezza delle derive negative e pessimistiche della fratellanza, della dialettica in essa insita, delle spinte antagonistiche che essa può suscitare, l’enciclica si affida alla caratura altruistica e complementare di tale sentimento. A voler leggere tra le righe del testo, pare proprio che i fondamentalismi religiosi e i relativi conflitti possano essere paragonati a quei rapporti difficili tra fratelli che, rifiutando di vivere nella concordia per motivi egoistici e di competizione, scatenano tra essi i conflitti più drammatici. Nell’enciclica il tema è espresso in termini rapidi ma straordinariamente emblematici (§.57):
«Poco dopo la narrazione della creazione del mondo e dell’essere umano, la Bibbia presenta la sfida delle relazioni tra di noi. Caino elimina suo fratello Abele, e risuona la domanda di Dio: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Gen 4,9). La risposta è la stessa che spesso diamo noi: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (ibid.). Con la sua domanda, Dio mette in discussione ogni tipo di determinismo o fatalismo che pretenda di giustificare l’indifferenza come unica risposta possibile. Ci abilita, al contrario, a creare una cultura diversa, che ci orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri».
Le religioni insegnano piuttosto come la tenuta della concordia tra fratelli – siano essi naturali o culturali – renda concretamente possibile il legame societario, proiettandolo verso il futuro in maniera ben più solida di quanto non possa fare qualsiasi struttura istituzionale formale. Allo stesso modo – si potrebbe aggiungere – la disgregazione del rapporto di fratellanza, libertario e paritario, accende i conflitti più aspri e inconciliabili.
Tra fratelli, di religione diversa: verso una nuova formula della libertà religiosa?
Pur consapevoli delle insidie dell’ipostasi seguente, parlare metaforicamente di fratellanza ‘tra religioni’ piuttosto che tra individui aprirebbe scenari inediti con risvolti pratici tutt’altro che secondari. Un simile cambiamento di paradigma, ad esempio, potrebbe condizionare la formulazione della stessa libertà religiosa, mutandone, in sostanza, gli attori e la portata delle loro interazioni reciproche, fatte di pretese, ipotesi di riconoscimento, garanzie di tutela[2]. Nell’enciclica il «diritto umano di libertà religiosa» è così descritto:
«Tale libertà manifesta che possiamo ‘trovare un buon accordo tra culture e religioni differenti; testimonia che le cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico Dio’» (§.279).
Se, infatti, il modello liberale della libertà religiosa (nella sua classica accezione di ‘diritto pubblico soggettivo’[3]) è stato elaborato come una relazione esclusiva tra Stato e individui o tra Stato e confessioni, la libertà religiosa tratteggiabile alla luce della nuova enciclica andrebbe a sostanziarsi di una tramatura di rapporti prosociali più fitta e, al tempo stesso, più robusta, basata sulla religiosità degli individui, piuttosto che sulla loro appartenenza confessionale. Per usare i termini dell’enciclica, il riconoscimento reciproco, premessa dell’attuazione sociale della libertà, prenderebbe avvio da un – emotivamente – più solidaristico ed altruistico «gusto di riconoscere l’altro» (§.218 ss.) e si concretizzerebbe in un vero e proprio «patto culturale» (§.219) in grado di rispettare e assumere le diverse visioni del mondo, le culture e gli stili di vita che coesistono nella società. In termini più attuali, un sistema di libertà religiosa, in cui le religioni si pongano tra loro come ‘sorelle’, potrebbe trasformare l’assetto presente, fatto soprattutto di accordi biunivoci e a compartimenti stagni tra autorità secolari e autorità religiose, in un assetto reticolare in cui individui-fratelli – per quanto di religione diversa – possano cooperare proattivamente ed essere co-responsabili dell’attuazione della libertà religiosa collettiva. In quanto cittadini operanti all’interno della cornice normativa statale o internazionale, i fratelli di religioni diverse potrebbero adoperarsi, gli uni verso gli altri, per la realizzazione concreta delle rispettive libertà (§.279), ricordando a vicenda la memoria dei torti subiti nel passato (§.247), attivandosi globalmente per opporsi a persecuzioni e discriminazioni, ove essi possano esserne corresponsabili, o rappresentarne le vittime, in tutti quei luoghi del mondo (§.281 ss.) in cui la libertà religiosa non è statalmente garantita.
[1] Si veda per questa impostazione, G. Anello, Homo Religiosus in a Globalized World: How Religious Individuals are Actors of Global Law (April 4, 2020), in Canopy Forum. On Interactions of Law and Religion, https://canopyforum.org/tag/giancarlo-anello/, nonchè G. Anello, The concept of “contractual citizenship” in the Charter of Medina (622 c.e.): a Contemporary Interpretation, in Islamochristiana, Rivista del Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica, n. 46/2020.
[2] Qui si fa specifico riferimento alla teoria della libertà, così come formulata da A. Honneth, Il diritto della libertà. Lineamenti per un’eticità democratica, Codice, Milano, 2015.
[3] Sebbene ormai datato, il riferimento obbligato va all’opera di F. Ruffini, La libertà religiosa. Storia dell’idea, Feltrinelli, Milano, 1991.
Giancarlo Anello è docente di “Intercultura e pluralismo istituzionale” all’Università di Parma e Fellow per l’anno 2021 del King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (KAICIID) di Vienna
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