PANDEMIA, ECOLOGIA POLITICA E SOLIDARIETÀ NELLA FRATELLI TUTTI
di Emanuele Leonardi1
È indubbio che l’enciclica papale Fratelli tutti si presti, data la ricchezza dei riferimenti e la profondità dello sguardo, a una pluralità di interpretazioni. Lo dimostra la varietà delle voci che stanno animando il ‘Dialogo’ ospitato su Prospettiva e curato da Marco Ingrosso e Sergio Manghi. Il mio intervento si concentra su due elementi, fortemente interrelati: i) la presenza nell’enciclica di un tipo di realismo che André Gorz avrebbe definito ‘ecologico’2; ii) la sua espressione ‘politica’ per come incorporata sia nella lettura della pandemia proposta da Francesco, sia nell’analisi delle implicazioni in termini di fratellanza.
L’enciclica del 2020 mi pare presentarsi sia come summa del magistero di Papa Bergoglio3, sia come intervento particolarmente risoluto all’interno della congiuntura pandemica che lo storico Adam Tooze ha efficacemente etichettato come ‘la prima crisi economica dell’Antropocene’4. Lo si evince con chiarezza da questo passaggio:
«Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella» (FT 34).
L’origine ecologica della crisi pandemica si mostra in modo evidente: essa affonda le radici nel ‘nostro modo di porci rispetto alla realtà’, nell’atteggiamento predatorio e proprietario rispetto a ‘tutto ciò che esiste’. Ma chi è questo noi? E cos’è questa crisi? Rispondere al secondo interrogativo mi permetterà di porre adeguatamente la prima questione. Risalendo di poche righe apprendiamo infatti che lo scompenso ecologico non è una tragica fatalità, bensì l’effetto di «ingiustizia» prodotta dalla «mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali» (FT 29). Inoltre, non la scienza o la tecnologia sono colpevoli, bensì l’unilateralità della loro traiettoria di sviluppo, nonché le espulsioni che vi s’accompagnano: «come sarebbe bello se alla crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche corrispondesse anche una sempre maggiore equità e inclusione sociale!» (FT 31).
Sgombrando il campo da qualsiasi retorica anti-scientifica – chi volesse discettare di castigo divino dovrà rivolgersi altrove – Bergoglio reitera l’operazione che Ugo Mattei ha acutamente rinvenuto nella Laudato si’, quella cioè di «cooptare il pensiero dialettico e materialista, elaborando una dottrina ecologica della Chiesa» profondamente indebitata verso l’ambientalismo radicale (Mattei individua, con buone ragioni, influenze molto nette in Fritz Schumacher, Gregory Bateson e Alex Langer) in quanto «compenetra l’umano nei processi naturali che sono la base materiale in cui esso vive e opera»5.
È da questa prospettiva che Francesco indaga la frattura metabolica responsabile del disastro pandemico, e non è certo un caso che lo faccia in totale sintonia con i movimenti ecologisti, i quali hanno a più riprese indicato le tre cause globali di quell’aumento della rapidità di circolazione dei patogeni che rende eventi zoonotici (dalle conseguenze imprevedibili) assai più probabili che in passato: la coltivazione intensiva legata a monocolture agricole; l’allevamento intensivo ancorato a monocolture genetiche dei capi di bestiame; l’urbanizzazione ‘selvaggia’6.
Vale la pena richiamare le conclusioni cui giunge l’epidemiologo Rob Wallace,7 congruenti con la critica del Papa al «modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino a uccidere l’uomo» (FT 22). Secondo Wallace la razionalità basata sul profitto, antitetica rispetto alla ragionevolezza del benessere e della giustizia, conduce all’omogeneizzazione delle colture genetiche, vale a dire al brodo di coltura più adatto alla circolazione accelerata dei patogeni e al salto di specie. Inoltre, dal punto di vista delle grandi multinazionali – vere e proprie personificazioni sociali della centralità del profitto – è perfettamente ragionevole correre il rischio di scatenare un’epidemia (finanche una pandemia globale) dal momento che i guadagni vengono internalizzati sotto forma di dividendi, mentre le perdite vengono esternalizzate, da un lato verso la società – si pensi alla pressione sui sistemi sanitari – dall’altro lato verso l’ambiente naturale – inquinamento e perdita di fertilità dei suoli per non citare che due fattispecie molto diffuse.
Possiamo ora tornare al primo quesito: chi è il noi di cui parla Bergoglio? Ritengo che la chiave di lettura a questo proposito debba essere perlomeno duplice. C’è il ‘noi’ delle vittime della pandemia, attraversato da un afflato di fraternità universale:
«Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (FT 32).
Poi c’è il ‘noi’ di chi si batte contro le storture dell’economia predatoria che distrugge tanto l’umanità quanto l’ambiente. Si tratta adesso di un collettivo che si stringe attorno a una fratellanza solidale – non di tutti, perciò, bensì degli ultimi: di chi alle ragioni del profitto antepone quelle della cura (della società, certo; ma pure del pianeta). Dice Bergoglio, riprendendo un discorso ispiratissimo del 2014:
«Gli ultimi in generale praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare. Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […] La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari» (FT 116).
Occorre intrecciare la lotta degli ultimi (fratellanza solidale) al realismo ecologico (fraternità universale) per comprendere a pieno la dirompenza del messaggio di Francesco dentro la congiuntura pandemica:
«Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna [il Papa allude al rischio di una ricaduta in una forma persino aggravata di ‘febbrile consumismo’ – NdA] crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto» (FT 36).
Il tempo dei piccoli passi e delle soluzioni win-win volge al termine, ma forse non si tratta di una resa. Forse è l’inizio di una stagione nuova, che Francesco definisce del «costruire insieme». A me sembra che la parola del Papa si indirizzi del tutto naturalmente a chi nel mondo lotta per la giustizia climatica, cioè per una cultura politica finalmente in grado di annodare questione sociale e questione ambientale. A cominciare dai fratelli che stanno in basso, per poi abbracciare tutti gli altri fratelli.
1Emanuele Leonardi è docente di “Culture, pratiche e linguaggi dei movimenti politici e sociali” all’Università di Parma, nonché Affiliated Researcher presso il Centro de Estudos Sociais dell’Università di Coimbra.
2 Una possibile definizione, da Ecologia e libertà (Orthotes, 2015 [1977]): “Non si tratta affatto di divinizzare la natura né di ‘ritornare’ ad essa, ma di considerare questo fatto: l’attività umana trova nella natura il suo limite esterno e, ignorando questo limite, provoca conseguenze nefaste che, nell’immediato, prendono le seguenti forme (ancora mal comprese): nuove malattie e nuovi disagi; bambini disadattati (a cosa?); riduzione dell’aspettativa di vita; diminuzione delle capacità fisiche e della redditività economica; riduzione della qualità di vita pur in presenza di livelli crescenti di consumo” (p. 39).
In generale, Gorz ritiene che il problema politico fondamentale del realismo ecologico sia quello di pensare “un’equità senza crescita” (p. 40).
3 Numerosissimi sono i riferimenti a discorsi e documenti presentati nel corso del pontificato in sedi internazionali, di fronte al corpo diplomatico, ad associazioni di giuristi, ai movimenti popolari, a organizzazioni della società civile, in incontri religiosi.
4 Cfr. https://www.theguardian.com/books/2020/may/07/we-are-living-through-the-first-economic-crisis-of-the-anthropocene.
5 Papa Francesco (a cura di Ugo Mattei), La dittatura dell’economia, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2020, p. 22.
6 Cfr. https://newint.org/immersive/2021/01/06/planet-fjf-farm.
7 Cfr. https://monthlyreview.org/2020/05/01/covid-19-and-circuits-of-capital/.
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