Oriente Occidente attraverso il romanzo storico

di Francesco Gianola Bazzini

Il confronto Oriente Occidente, che qualcuno vorrebbe declinare con il termine negativo scontro, ha assunto ai nostri giorni una dimensione globale. Alla mappa della vecchia Europa si è sostituita quella dell’intero mappamondo terrestre. Il dibattito di questi ultimi anni, in particolare sul piano economico, ha modificato i protagonisti che per secoli si sono sfidati. Attori rimasti esterni per lungo tempo si sono affacciati prepotentemente nel palcoscenico mondiale: Cina, India ed Indonesia, che rappresentano circa la metà della popolazione mondiale. Sono questi i nuovi protagonisti di un confronto con l’Occidente le cui armi sono sempre più lo sviluppo tecnologico, il costo del lavoro ed il controllo delle risorse naturali del pianeta. Ciò che rende più silente questo confronto è la quasi totale assenza di una competizione sul piano della cultura e della fede. Per la verità poco è cambiato nella sostanza: dietro ai dogmi religiosi e alle correnti di pensiero, il controllo geo-politico ed economico erano la vera motivazione che spingeva i contendenti a sfidarsi. Eppure ultimamente riemerge prepotentemente il confronto molto spesso violento nelle parole e nei fatti sul piano della fede e della cultura tra Oriente ed Occidente. Aree geografiche che hanno dato vita alle più antiche civiltà e religioni e che hanno tratto l’uomo dalla Preistoria inserendolo a pieno titolo nella Storia si scontrano e si dividono, mentre le sorti dell’intera umanità si decidono altrove. È forse questo il frutto di una modernità senz’anima che privilegia la finanza e la tecnologia, rispetto alle idee, alla fede e soprattutto ai valori morali? Difficile affermarlo in modo assoluto. Sicuramente se queste grandi correnti di pensiero e di tradizioni millenarie, che in modo approssimativo possiamo definire mediterranee, trovassero dei comuni denominatori il contributo al futuro della civiltà ne uscirebbe rafforzato e moltiplicato. La storia non si cancella, si potrebbe affermare. In realtà è alla storia che bisogna rivolgere uno sguardo retrospettivo. Ed è proprio nel bacino del Mediterraneo dove per secoli si sono consumati contrasti e conflitti ma anche reciproci influssi preziosi, che ritroviamo in molti ambiti, dal pensiero all’arte per arrivare alla quotidianità, molti punti di convergenza e comuni radici. Due civiltà in particolare si sono trovate di fronte: quella islamica attraverso le dinastie Omayyade, Abbaside e Ottomana e quelle Cristiano-occidentali attraverso le numerose dinastie e le diverse realtà nazionali che si sono alternate nel “Vecchio Continente”.

La conoscenza della storia, quella ufficiale dei testi didattici, è fondamentale. Spesso però non si va oltre la conoscenza mnemonica di dati e di date, relativi al succedersi degli eventi. Entrare nelle dinamiche che coinvolgono la società e gli individui è molto più complesso. Credo che a colmare questa lacuna abbia da sempre contribuito il romanzo-storico, in cui personaggi e avvenimenti fantastici si intrecciano con quelli autentici. Sul tema che riguarda questi nostri approfondimenti ho riletto quel grande romanzo della letteratura novecentesca: Il ponte sulla Drina di Ivo Andrić [1]. Un capolavoro sia sotto il profilo della qualità letteraria che sotto il profilo dell’analisi storico-sociale. Questo mio breve contributo non vuole assolutamente essere una recensione del testo, di cui raccomando la lettura a chi si interessa dei rivolgimenti nella Mitteleuropa e nella Penisola Balcanica in particolare. Vorrei però sottolineare l’intuizione di Andrić, che pure non ha potuto conoscere l’evolversi tragico degli eventi con la fine della sua Jugoslavia, di cui è stato un autorevole esponente, in particolare sul piano culturale. Il suo romanzo si svolge nella martoriata regione della Bosnia-Erzegovina e più in particolare in una piccola città: Visegrad. La narrazione ruota intorno ad un secolare ponte ed al fiume che attraversa: la Drina. Lo scorrere impetuoso dell’acqua, quasi una similitudine dello scorrere del tempo, si accompagna agli avvenimenti politici e militari che si avvicendano nella piccola città bosniaca. Oppressi e oppressori si alternano nei ruoli, molto spesso condizionando, i secondi, un equilibrio che le diverse etnie e le diverse culture hanno sempre ritrovato. Il ponte voluto dal visir Mehemed Pascià Sokolovic (serbo islamizzato attraverso la pratica del devşirme [2], ma assurto alle più alte cariche dell’Impero Ottomano sotto importantissimi Sultani, in primis il leggendario Solimano il Magnifico, l’Ombra di Dio sulla terra), è il simbolo di supplizi e patimenti, ma anche della fusione di due diverse culture che hanno convissuto per secoli. Il ponte come tramite di valori e di costumi che hanno forgiato una identità. Il Ponte simbolo di questa stessa identità, che guardato con diffidenza durante la sua costruzione, diviene simbolo irrinunciabile di tutti coloro che vivono nella città. Elemento di unità che fattori ed interessi esterni hanno messo periodicamente in discussione.

  1. Ivo Andrić (1892-1975), scrittore serbo/bosniaco. Politico, diplomatico, accademico; insignito per la sua feconda produzione letteraria del premio Nobel per la letteratura nel 1961.
  2. Arruolamento forzoso (rapimento) e islamizzazione di giovanissimi adolescenti cristiani, ordinato dai sultani

    ottomani, da destinare alla classe degli amministratori civili o alla classe militare “Giannizzeri”. Scopo: creare burocrati e truppe fedeli che per nascita non fossero in alcun modo legati alle faide di palazzo.

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