Docenti tartassati e alunni allo sbando: il paradosso della scuola
Di Giuseppe Turchi
Siamo nel secondo anno di pandemia ed è giunto il tempo degli esami di Stato. Dopo estenuanti ore di didattica a distanza, compiti online e presenze scaglionate in classe, gli studenti devono affrontare quel rito di passaggio chiamato Maturità. Nel mentre i docenti hanno concluso gli scrutini tenendo conto dell’indicazione del Ministro Bianchi di «considerare, nei voti finali, l’intero anno di studi sulla base dell’attività didattica effettivamente svolta, in classe o da remoto». Ciò si è tradotto in una maggiore indulgenza nell’assegnazione dei voti, con un aumento delle sufficienze rosse (voti che indicano l’aiuto da parte del consiglio di classe, dispensando l’alunno dai corsi di recupero ma suggerendogli di studiare di più n.d.r). Le bocciature, invece, sono state in linea con gli anni pre-pandemia.
Sotto l’aspetto della valutazione, dunque, l’ultimo anno scolastico, e ancor di più il precedente, hanno fornito agli studenti un contesto agevolato. Quella che avrebbe dovuto essere una misura emergenziale sembra tuttavia il prosieguo di una tendenza che configura la scuola sempre più come un “diplomificio”. Stando a una ricerca de Il Sole 24 Ore, tra il 2013 e il 2018 le promozioni alla classe successiva sono raddoppiate, e non per merito degli studenti.
I dati, scrive Greenreport, mostrano che «più di sette italiani su dieci – contro una media Ocse del 49% – sono analfabeti funzionali o hanno capacità cognitive e di elaborazione minime». La rivista dell’università Lumsa rincara la dose segnalando che «rispetto al 2012, sono aumentati di 1,9 punti gli studenti con bassi rendimenti in lettura e di 4 punti nelle scienze, mentre la quota di alunni con scarse competenze matematiche resta stabilmente la più alta della lista (22,2%)». A ciò si associa un aumento dell’abbandono scolastico che Asnor attribuisce al blocco dell’ascensore sociale. Nell’immaginario del giovane la scuola non offre più la speranza di migliorare la propria condizione di vita.
Alla luce di quanto detto, sono almeno due i paradossi che emergono con prepotenza. Il primo è che, nonostante la maggiore elasticità dei criteri di valutazione, le fasce più fragili della popolazione ne traggono generalmente un vantaggio limitato, o non ne beneficiano affatto. Sempre Asnor rileva che
[…] la percentuale più alta di abbandoni scolastici si registra nelle famiglie con redditi bassi e in cui gli stessi genitori non sono andati oltre la terza media. Molto accentuato anche il divario tra minori italiani e stranieri, con questi ultimi che sono colpiti dal fenomeno della dispersione scolastica in modo molto più forte […]. Considerazioni analoghe si possono fare a livello geografico: i ragazzi del sud fanno più fatica ad andare avanti
Il secondo paradosso, egualmente inquietante, è che i dati finora citati sono stati raccolti in un periodo in cui si è puntato molto sulla formazione e la selezione del personale docente. SSIS, TFA, PAS, 24 cfu sono sigle con cui gli aspiranti docenti hanno imparato a fare i conti per acquisire le conoscenze necessarie all’abilitazione. In merito a ciò ogni legislatura ha imposto la propria riforma, sottoponendo il candidato a prove concorsuali saltuarie e sempre più complesse (cosa che ha contribuito a infoltire le file del precariato).
Quello che impressiona è come al complicarsi del percorso selettivo dei docenti non sia corrisposto un miglioramento della performance degli studenti. Tutto quel parlare di didattica innovativa, intelligenza emotiva, competenze non ha contrastato in alcun modo l’analfabetismo funzionale e l’abbandono scolastico. Eppure didattica, competenze ed empatia sono proprio ciò di cui c’è bisogno perché la scuola faccia un vero salto di qualità! Qualcosa è andato terribilmente storto.
Schiere di docenti si sono impegnati in costosi corsi d’aggiornamento; hanno sopportato l’assegnazione di supplenze brevi, magari lontano da casa; sono stati soffocati dalla burocrazia; si sono visti bocciare ai concorsi dopo anni di insegnamento, tutto per trasformare i 4 in 6? Per vedere alunni non varcare più la soglia della scuola? Per continuare a ripetere di non utilizzare il cellulare in aula? Per ricevere lettere dai genitori che minacciano di fare ricorso a ogni provvedimento sgradito?
Forse la verità è che abbiamo reso impossibile la vita degli insegnanti, distrutto il valore della scuola e abbandonato i ragazzi agli stimoli volubili della società contemporanea. Una società dove i bravi riescono comunque a cavarsela, i più furbi fanno successo (comunque lo si voglia intendere) e i più deboli faticano a emanciparsi.
Ma di chi è la colpa? L’aspetto forse più spaventoso del paradosso è il suo innestarsi su di una molteplicità di fattori, dai genitori troppo invasivi all’ossessiva burocratizzazione; dal diffondersi di nuovi modelli attraverso le piattaforme digitali al liquefarsi delle relazioni. Il problema scuola è essenzialmente organico e non può essere scaricato totalmente sulla figura dei docenti. Ben venga una formazione seria e interdisciplinare degli insegnanti, ma si cominci a guardare anche al giovane che questa società sta coltivando. E la politica faccia una seria autocritica, poiché non è possibile gestire adeguatamente l’istruzione stravolgendone il sistema a ogni legislatura (quindi ogni due anni, ad andar bene).
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