“31 anni e una pandemia”. Capitolo 7: Fase 1,5

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Giuseppe Turchi

31 anni e una pandemia

 

Parte I
“Incatenato”

 

7. Fase 1,5

4 maggio. Il limite dei 200 metri è stato abolito. Finalmente si può passeggiare per il paese in relativa libertà. L’importante è tenere la mascherina, stare a debita distanza ed evitare gli assembramenti.

Ne ho approfittato subito per andare oltre il sentiero nel bosco, su per una strada sterrata che porta nelle piccole frazioni. In certi punti sembra di trovarsi in un percorso elfico con grosse piante che incorniciano la strada dissestata. Sasso dopo sasso ho incontrato tre rivoletti d’acqua e respirato l’odore del terriccio umido. C’è pure una piccola riva tappezzata di pallide primule e un mazzo di fiorellini fucsia dei quali non conoscono il nome. Somigliano alle primule, ma la foglia è tonda e il pistillo alto.

Adesso sono seduto in un piccolo spiazzo perché le mie ginocchia non ce la fanno più. Il dolore delle artrosi ha finito per irrigidirmi tutto il corpo. Quando soffri i muscoli si contraggono, prima quelli delle gambe, poi il diaframma diventa duro come una lastra d’acciaio e la respirazione si complica. Ti manca l’aria non tanto per la fatica, ma perché è come se i polmoni non riuscissero a riempirsi del tutto. Le caviglie sembrano gridare per la mancanza di cartilagine. Mi hanno fregato, maledette.

Spero di recuperare il minimo di forza per tornare a casa. Sono le sei e la strada sembra infinita. Sarò fortunato se rientrerò per le otto. Domani so già che dovrò restare a letto tutto il giorno per riprendermi.

Care Colline, voi, come il Cielo, sapete tutto.  Per trentun anni mi avete visto patire tagli, suture, gessi, stampelle, antidolorifici, e guardate adesso a che punto sono. In prima superiore avevo ancora il sogno di condurre una vita quasi normale. Oggi so che dovrei farmi operare ancora, anche se a furia di toccare ossa e tendini qualcosa ha perso la possibilità di essere aggiustato.

Sapete cosa significa avere la sensazione che tutti i tuoi sforzi siano inefficaci? Vedere che da una tua azione non segue un risultato? Che gli obiettivi sono sempre fuori portata? La quarantena ha reso la sensazione una realtà, e non parlo soltanto dei miei problemi fisici.

«Cos’altro c’è che non va?»

Il lavoro. Alle superiori ho studiato Informatica pensando di passare la mia vita come programmatore di videogiochi, per poi scoprire che poche cose mi disgustano come programmare. Allora ho provato a fare Biotecnologie perché speravo un giorno di lavorare ai progetti di rigenerazione degli arti, ma sono stato bocciato. Allora sono passato a Filosofia e lì ho trovato il mio luogo naturale. Sarei anche rimasto in università se solo ci fosse stata la possibilità e se non avesse comportato vent’anni di precarietà.

«Sembra che tu rimpianga di non essere lì.»

Mi sono detto e mi dico che la vita del ricercatore non è nelle mie corde, ma ormai mi chiedo cosa lo sia. Sono solo uno sfaticato in preda alla paura? Sant’Iddio, sono uscito dalla laurea magistrale con la media del 30! Non sono un imbecille totale. E allora cosa mi manca?

«Prova a ricordare i momenti in cui ti sei sentito a tuo agio con le tue inclinazioni.»

L’anno scorso ho avuto modo di fare qualche supplenza breve su materia nei licei. In quei pochi mesi mi sono divertito e ho studiato come un matto. Sapete, un neolaureato non sa ancora maneggiare il programma scolastico delle superiori. Devo dire che la strada dell’insegnamento mi piace molto perché stai in mezzo ai giovani e ricevi un sacco di stimoli. Peccato che sia una salita ripidissima.

«Tu credi sempre che le sfide siano oltre le tue possibilità. Cosa ti preoccupa?»

Il concorso per ottenere il posto è di una difficoltà estrema.

«Ne hai già sostenuto uno?»

No, ma il programma s’è ampliato sempre più nel corso degli anni e io devo ancora finire di studiare quello di Filosofia. Faccio fatica a concentrarmi, a memorizzare gli elenchi di nozioni, a sopportare l’idea di spendere ore e ore per poi non fare in tempo a padroneggiare tutto. Perché è questa la verità, non farò in tempo. E se non farò in tempo, dovrò rinunciare all’unica occupazione che mi ha fatto sentire entusiasta.

«Non pensi a quelli che stanno messi peggio di te? Ci sono precari che sono in quella situazione da oltre dieci anni, gente che deve mantenere le proprie famiglie, persone che fanno un doppio lavoro. Dove trovano la forza? Che sia forse la forza della necessità?»

Credo di sì, infatti mi sto attivando per prendere un appartamento in affitto. Spero che, una volta assaggiata l’indipendenza, scatti in me qualcosa che mi porti a difenderla anche con i denti. Devo sentire sulla mia pelle l’urgenza di arrivare a fine mese, il salasso delle bollette, la fatica di contenere le spese. Allora la forza la troverò.

«Ma questo è masochismo!»

Già. Devo infliggermi una punizione, come se le mie condizioni di vita non mi avessero ferito abbastanza con le loro privazioni.

«Privazioni?»

Non fate le finte tonte. Gli ospedali mi hanno negato un’infanzia e un’adolescenza normali. Mi sono goduto poco o nulla del mondo, così ho ripiegato sui videogiochi e sulla filosofia. Stare seduto con la mente continuamente in fermento è un sacrificio. Un’abitudine, ma anche un sacrificio.

«Tu credi che ti manchi un progetto solo perché non vedi ancora la meta. La verità è che hai creato tanto.»

Io mi sento un criceto su una ruota. Corro, corro, corro e non avanzo mai. Guardate con la scrittura: ho speso un sacco di soldi e un anno di vita solo per vedere il mio primo romanzo rifiutato da un agente letterario. So scrivere saggi di ricerca ma in narrativa faccio schifo. Ho il vizio di fare il maestrino e d’inserire dettagli tecnici di cui non frega niente a nessuno.

«Siamo sicure che sia una batosta che ti è servita per imparare. Hai un sacco di materiale da parte. Ti basta solo rielaborarlo. Nulla è perduto!»

Oh, che gioia! Perché io devo ripartire da zero quando delle capre che vendono la loro dignità su YouTube sono in cima alle classifiche dei best sellers? Loro non hanno studiato la sceneggiatura in tre atti e il viaggio dell’eroe. Loro guadagnano milioni di followers e fior di sponsor pubblicando delle cretinate. Dov’è il merito?!

«Non è così facile come sembra. Servono una programmazione costante e tanto coraggio.»

Prendo un bel respiro e mi perdo tra le chiome degli alberi. Sull’altra sponda intravedo, in alto, il campanile della chiesa storica di Solignano. Il colore rosa che hanno utilizzato per ritinteggiarla non mi convince molto. Sa troppo di contemporaneo. Credo che al tempo della mia Comunione fosse giallina.

Si ha una gran bella visuale da lassù. Poco più avanti, superata la frazione di case Gabelli, la strada si snoda sul crinale della collina. A sinistra c’è un piccolo “canyon” di rocce rossastre, a destra, campi da fieno. Dev’essere il posto perfetto per vedere l’alba e le stelle cadenti. Ricordo che una mattina, dopo uno spoglio elettorale massacrante, ero andato lì con la macchina per aspettare il sorgere del sole, ma nebbia e nuvole avevano guastati i miei intenti.

M’accorgo che la luce s’è abbassata. Ormai saranno le sette. L’orologio sul mio telefonino conferma. Le gambe mi fanno ancora un male del diavolo. Avrò accumulato abbastanza autonomia per tornare a casa? Non mi farò certo venire a prendere. Mi isso sul mio bastone e a denti stretti imbocco la via del ritorno.

Care Colline, la prossima volta ricordatemi di fermarmi un po’ prima.

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