Il gelato del “marinaio”
Passava in agosto alla domenica di pomeriggio ore diciotto in punto. Di tanto in tanto coi pedali aiutava un borbottante motore quando andava in salita la sua bianca barchetta con la “ciminiera” di vetro bene in vista a contenere i coni color del sole. Elegante, vestito di bianco sembrava un marinaio: era il gelataio di strada Langhirano.
Non più tanto giovane da noi si fermava davanti ad un’ottocentesca cabina elettrica coi mattoni in fila come tanti soldatini e lì una piccola folla d’ogni età l’aspettava: “panna, cioccolato o limone?” era la domanda di rito e ricevuta risposta si scambiavano trenta lire per un cono e me lo porgeva quasi sul prato come se avesse anche lui sentito i miei genitori che non volevano m’avvicinassi troppo alla strada “maestra”.
Viaggiavo in triciclo sullo “stradello del bosco” liscio come un bigliardo sempre curato da un manto di ghiaia fine fine che cantava, sotto le piccole ruote, la fiducia di papà Angelo e mamma Serena per il loro piccolo che da solo andava a prendere il gelato.
Da allora mi è rimasto il piacere di gustare la freschissima delizia anche se adesso i gusti e i colori si sono moltiplicati all’infinito in una corsa a stupire senza fine e oggi si possono assaggiare persino quelli salati.
E così, per esempio, il gelato al pistacchio non è più dolce ed è anche senza latte e derivati per chi soffre d’intolleranze, poi vi è quello alla senape e alle olive per l’aperitivo, al cioccolato e whisky, senape e cacao, latte di cocco e curcuma, menta bianca e liquirizia e persino quello di birra artigianale… e chissà quanti altri ancora.
Ma il gelato, quello del “marinaio” con la bianca barchetta, aveva un gusto che non ho più ritrovato: quello dell’innocenza quando in un istante si scioglieva in bocca un piacere che pareva eterno.
Antonio Battei
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