“31 anni e una pandemia”. Capitolo 16: Pile di sassi

⏮️Vai al capitolo precedente

Vai al capitolo successivo⏭️

Giuseppe Turchi

31 anni e una pandemia

 

Parte II
“Liberato”

16. Pile di sassi

Il fedele Suzuki Samurai salta e trema ma non cede il passo. Con le ruote cerca di evitare solchi profondi tre spanne. La strada sembra arata. Ogni tanto qualche sasso fa perdere attrito e sbatte contro la parte inferiore del telaio. In alcuni punti la pendenza si avvicina al 30%. È uno spasso.

La guida del buon Teo è salda e impeccabile. Mi dice che ha inserito le ridotte. In pratica potremmo salire anche sui muri. Prima di lui è stata Valentina a farmi scoprire le gioie delle escursioni in fuoristrada. Se la pandemia mi ha permesso di conoscere un po’ i sentieri di paese, è con i ragazzi di Belforte che ho cominciato a vedere qualcosa della montagna. Penso ai Ferragosto nella spianata della Combrattina o al pic-nic sul monte Molinatico. Quante stelle si vedono di notte!

La meta di oggi sono le cascatelle del rio Cogena. È un luogo appartato tra le colline borgotaresi di cui non conoscevo l’esistenza.

Superata l’ultima discesa ci ritroviamo nel regno del muschio. È un piccolo paradiso incontaminato che vedrei perfetto per un rito sciamanico-celtico. Assaporo con avidità il sentore del bosco.

La strada per le cascatelle è tutto sommato agevole. Bisogna solo stare attenti a non calpestare i tronchi: potrebbero non essere stabili, e per le mie gambe ogni caduta è pericolosa. Col mio fido bastone tasto il terreno e faccio leva quando serve.

Mentre avanziamo comincio a scorgere tra gli alberi dei grossi massi. Mi informano che le cascate sono lì e si dividono su due livelli. Al primo si trova un Laghetto; al secondo ci sono molti sassi per sedersi ma la vista è meno bella. Optiamo per il primo.

Noto subito che per me potrebbe essere problematico arrivare fino al Laghetto. I “giaroni” (nome tecnico parmense per i sassi) che lo sovrastano sono lisci e per scendere bisogna avere delle articolazioni buone. A me manca lo snodo in entrambe le caviglie, e qui lo soffro ancora più del solito. Per fortuna che a destra c’è un passaggio pieno di rami robusti. Nel corso degli anni ho imparato a sfruttare tutti gli appoggi per compensare la debolezza nelle gambe. Nel farlo assumo pose assurde. A volte sembro una scimmia, altre uno stambecco, altre ancora un geco.

In un paio di occasioni sono costretto a chiedere una spalla e un braccio saldi. Grazie a loro riesco ad arrivare alla meta. La cascatella nasce da due correnti che s’intersecano a V e cadono per tre/quattro metri da un roccione. Nella piscina naturale che si forma ci staranno comode sei persone. Volendo ci si potrebbe anche tuffare.

Sono già in estasi. L’acqua è così limpida che si vedono persino i girini. Tutt’intorno ci sono alberi così fitti che lasciano scorgere solo una striscia di cielo azzurrissimo. Respiro ancora. Temperatura, luce, venticello, profumo silvestre: è tutto perfetto. Lo scroscio dell’acqua mi massaggia il cervello. Mi manca solo di immergere le gambe nella piscina. Teo e la sua compagna sono già dentro. Io non ho portato gli asciugamani e, ahimè, scoprirmi è sempre un tasto dolente.

«Immergiti. Ti allevierei il dolore.»

Magari la prossima volta, Laghetto. Oggi va bene così.

«E se morissi domani?»

Grazie per il pensiero motivazionale, ma i morti non possono rimpiangere alcunché. Sono un inguaribile materialista.

«Non penso che sia un buon motivo per perdere l’occasione di star bene…»

Mi accorgo che Teo è uscito dall’acqua e si è seduto su un sasso piano. Sta impilando delle pietre per formare una struttura piramidale.

«Qui vige la regola che quando qualcuno inizia a fare una pila di sassi, tutti cominciano a fare pile di sassi» mi dice, e sorride al pensiero delle sfide di stone balancing con gli amici. «Chissà se domani ci saranno ancora.»

Pone un sasso sopra l’altro con calma. La struttura regge bene.

«E tu? Che sassi hai impilato?»

In quest’ultimo periodo l’unica cosa che ho impilato è un sacco di carte. Concorsi, graduatorie, Naspi, volture. In alcuni casi ci ho perso dei pomeriggi interi perché non l’avevo mai fatto prima.

Ho impilato “i sassi” che dovrebbero formare lo scheletro della mia indipendenza come adulto. Però stiamo parlando di pietre in equilibrio, non di costruzioni edili. Basta un soffio di vento o una pioggia pesante…

«Però è la tua mano che sceglie le pietre e come posizionarle.»

Mi stai dicendo che avrei potuto creare una pila più stabile? Che avrei potuto studiare per avere una mano più delicata e precisa? Che dire…

Le pietre della Filosofia sono spigolose e difficili da accatastare. Alcuni ci riescono meglio di altri perché hanno il coraggio di cogliere un’opportunità, oppure il talento, o anche solo una stoica risolutezza. Credo che a fare la differenza ogni volta sia la propensione al cambiamento. Imparare cose nuove è un cambiamento. Ma lo sono anche trasferirsi in un posto lontano, rischiare, conoscere gente nuova. Fino ad ora io sono stato un monolite proprio come quelli che si vedono qui: mi sposto solo con le piene. Nel mondo, invece, sono quelli che dominano il cambiamento ad avere successo, come un surfista che cavalca l’onda. Gli abitudinari sono quelli che restano sulla spiaggia. E indovina cos’ho fatto io?

«Tu hai navigato molte correnti. Sei stato disegnatore, musicista, scrittore, recensore, promoter, studente, tutor del corso di studi, pittore, professore, ricercatore, guida turistica, coordinatore della Consulta Giovanile, coordinatore dei volontari Auser. Pur non potendo muoverti come vorresti, tu finisci sempre per cercare il cambiamento. Il sedimento di tutti i ruoli che hai coperto ti farà comodo. D’altronde, se non fosse stato per le rocce che si sono ammucchiate negli anni, oggi la gente non potrebbe fare il bagno dentro di me.»

Dominare il cambiamento non vuol dire prendere infinite direzioni senza mai portarne a frutto qualcuna. Dal resoconto che mi fai sembro uno sbandato.

«A fine agosto non esce il tuo libro?»

Sì. Ho fatto la revisione e approvato la copertina. Ma che c’entra?

«Hai i tuoi frutti. Ora lascia che maturino.»

Vorrei ribattere ma alzo la testa e vedo Teo che mi guarda perplesso. Mentre io tergiversavo telepaticamente con il Laghetto, lui ha costruito la seconda pila di sassi. Sghignazza perché sono andato in oca. Come dargli torto?

Mi accorgo di avere l’animo quieto nonostante il momento di sconforto. Che poi non l’ho vissuto come vero sconforto. Che strano. Dev’essere l’atmosfera di questo posto. Non so se le pile di sassi dureranno fino a domani, però sono belle da vedere qui e ora.

Vai al capitolo successivo: Weekend

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *