LA PERCEZIONE MEDIEVALE DEI PECCATI FEMMINILI
di Sergio Tardio
All’inizio del secondo millennio i predicatori itineranti, che percorrevano l’Europa diffondendo la buona novella, iniziarono a parlare alle folle, oltre che nelle chiese ove i pulpiti erano costruiti in modo che il pubblico vedesse l’uomo di chiesa e sentisse con chiarezza il suo discorso, anche nelle grandi piazze o nei prati alle porte dei paesi. Essi parlavano un linguaggio che tutti potevano comprendere esortando l’uditorio a seguire l’insegnamento del vangelo, diffondendo così la riforma morale della società cristiana in tutto l’occidente. Con il passare dei decenni la predicazione si affinò ed apparvero i primi sermoni dedicati a specifiche categorie.
Così i grandi prelati del secolo XII decisero di occuparsi anche delle donne per distoglierle dal male, premunirle dai peccati e riportare all’ovile le pecorelle smarrite. Ci sono giunti alcuni di questi discorsi, talora in volgare più spesso in latino, che ci fanno intuire come erano considerate le donne in quel tempo. Ma rivelano solo una parte di verità poiché si rivolgono a donne di classi sociali elevate e poco conosciamo delle prediche dei curati di campagna alle popolane. Inoltre quelli che scrivono sono uomini di Chiesa, ingabbiati nei loro pregiudizi maschili, costretti dalla disciplina del loro ordine a tenersi lontano dalle donne e a temerle. Infatti nel 1054 era avvenuto lo scisma d’oriente o, come è chiamato dagli ortodossi, lo “scisma dei Latini”, che aveva ribadito per la chiesa d’occidente il celibato dei preti, per cui fu necessario allontanare dalle canoniche, in cui spesso convivevano, le concubine che aiutavano i sacerdoti nelle funzioni religiose e nel loro apostolato. Gli scritti e i trattati di questi prelati affrontano i temi della superbia, lusso, cupidigia, fornicazione, lussuria e del peccato di stregoneria, che poi venne considerato anche reato. Il Medio Evo aveva recepito e modellato a sua immagine quel bagaglio culturale dei millenni precedenti ove la figura della strega presentava una accezione negativa: le maghe e le maliarde userebbero i loro poteri per nuocere alla comunità ed agli uomini. La vera sistematizzazione di questa figura, con le sue caratteristiche uniche e distinguibili, si formò grazie a teologi e studiosi di demonologia e si fece spazio la teoria che le streghe fossero l’estrinsecazione della potenza del demonio, tanto che nel 1233 papa Gregorio IX promulgò la bolla “Vox in Rama” in cui è esplicitata l’azione stregonesca. Nel 1258 fu celebrato il primo processo per stregoneria e per secoli le streghe furono individuate come figure eretiche, dedite al culto del maligno e per questo da estirpare dalla società.
Da alcuni scritti emerge che tra le principali cause di peccato, almeno per le dame di alto lignaggio, vi è l’ozio: “non essere occupate in alcun lavoro si è tentate a deviare il corso delle cose, dunque ad opporsi alle intenzioni divine, servendosi anche di pratiche segrete” (cioè erano streghe). Per Stefano di Fougeres, cappellano di Enrico Plantageneto, è da condannare l’uso di cosmetici, perché “è vietato modificare il corpo plasmato da Dio a sua immagine e somiglianza”, ma soprattutto condanna duramente le donne che preparano misture abortive o per evitare di concepire e quelle che fanno sortilegi ai mariti, che le reclamano legittimamente, per “correre dietro a corteggiatori occasionali e farsi coprire come cagne”. Il peccato femminile che il cappellano considera più esecrabile è quello “contro natura (more bestiarum)”. Una altra opera austera, intitolata Decretum, classificando i peccati e le pene per riscattarsi (citando concilii e libri penitenziali), evidenzia come affinare il sacramento della confessione esortando i preti ad interrogare le donne con speciali domande, senza giri di parole, per indagare sul peccato femminile per eccellenza: la lussuria: “hai fabbricato un machinamentum (termine che nell’esercito romano designava le macchine da guerra) e lo hai usato nel tuo sesso o in quello di una compagna?” oppure: “ti sei offerta ad un animale con qualche artificio?”, o ancora: “hai assaggiato il seme del tuo uomo, in modo che egli arda di maggior passione per te?”, “hai somministrato afrodisiaci diabolici come pane impastato con le natiche nude, sangue del tuo mestruo o polvere di testicolo?”. Era peccato mortale pure il libertinaggio: “hai esercitato la ruffianeria di te stessa o di altre donne? Hai venduto agli uomini una cristiana?”. In altre domande il confessore doveva chiedere se dopo aver fornicato avesse usato mezzi per espellere il prodotto del concepimento, ma bisognava distinguere: “lo hai fatto perché sei povera? Non puoi allevare un altro bambino? O lo hai fatto per nascondere il peccato?”. L’abate Burcado riconosceva alle donne anche un potere sulla morte e quindi la domanda: “hai mai preparato una pozione avvelenata e la hai somministrata? O hai solo desiderato di farlo?”. Ma esistevano pure incantesimi per annichilire la virilità: ”hai usato arti malefiche in modo che tuo marito o il tuo amante diventi impotente?” . In quei tempi nessuno dubitava che le donne dominassero due campi della colpevolezza: la sessualità e la magia, quindi il confessore doveva esplorare l’altro aspetto della malvagità femminile: la stregoneria, e far domande su talismani, incantesimi e sortilegi. Reginone di Prum sosteneva che per alcuni delitti solo le donne sono presunti colpevoli: l’aborto, l’infanticidio, l’avvelenamento del marito: “se si scopre un uomo morto nel letto la colpevole può essere solo la moglie che si è servita di droghe misteriose”. Ovviamente anche l’omicidio della moglie era punito ma soltanto se il marito non poteva dimostrare che era di facili costumi.
Nell’opera Decretum vi è pure una sezione dedicata ai soli uomini con domande per indagare su fornicazione, carezze impudiche, adulterio, sodomia, posizioni sessuali vietate (ammessa solo la posizione del missionario), trasgressione dei periodi in cui era proibito far l’amore, escludendo situazioni in cui una donna troppo ardente incita l’uomo al peccato della carne contro la sua volontà. Ma per questi prelati rimaneva comunque la responsabilità del marito se le donne peccavano: “Dio ha voluto rendere la donna inermis e la ha posta sotto protezione maschile; pertanto deve essere sorvegliata ed il marito ha il dovere di vietare ciò che dispiace a Dio”. Infatti il giuramento dei mariti al momento delle nozze prevedeva: “io la terrò secondo il diritto amandola teneramente e nella disciplina dovuta, non me ne separerò fino a quando sarà in vita”, ma per la moglie l’impegno era maggiore: “io lo stringerò tra le mie braccia nella posizione che è propria della buona moglie e sarò soggetta, obbediente, al suo servizio come moglie deve al marito e non mi separerò da lui finché sarà in vita e non mi legherò mai ad altro uomo”.
Ovviamente le pene comminate per lo stesso peccato erano differenti se il penitente era un peccatore o una peccatrice. Infatti per l’onanismo si andava da pene corporali di 40 giorni per gli uomini (“mangerà solo pane, acqua e non si congiungerà carnalmente”) che potevano diventare di un anno per le donne e passare addirittura a 5 se esse si vendevano sessualmente o utilizzavano una macchina fallica. Per quelle che si dedicavano alla pratica sessuale di bestialità, bevevano lo sperma o si dedicavano a sospette pratiche di stregoneria, gli anni di penitenza diventavano 7. In conclusione alle donne era applicato il massimo rigore, per gli uomini moderazione e un sorprendente lassismo.
Nel secolo XI la Chiesa, al pari delle altre religioni monoteiste, pose sotto stretto controllo la sessualità. L’Istituzione Ecclesiastica era dominata dallo spirito monastico che manifestava il più profondo orrore per la contaminazione sessuale, per cui divise gli uomini in due gruppi: i servitori di Dio a cui vietò l’uso del sesso e gli altri, a cui il sesso era permesso ma alle condizioni che essa dettava. Rimanevano le donne considerate pericolose perché tutto ruotava intorno a loro. Per assoggettarle la Chiesa cercò di imporre una morale e dirigerne le coscienze. Furono espressi con chiarezza gli obblighi della donna nel matrimonio: deve amare, servire il suo uomo con lealtà e senza mentire. Sono quindi i doveri del vassallo verso il suo signore e, come i vassalli, alla donna spetta protezione e assistenza. Insomma il matrimonio subordina la donna al forte potere maschile e la moglie diventa “l’ornamento” del marito. Ma i piaceri matrimoniali sono condivisi? Un poema del 1173 recita: “gioia è quel che fa lo sposo nella sposa”, cioè il matrimonio ha come prima virtù quella di giustificare il piacere maschile e fornire un rimedio alla fornicazione femminile poiché solo “la vecchiaia libera la donna dai suoi demoni” (da un sermone di Dudone de Saint Quentin). Per l’arcivescovo Idelberto le dame sono costrette a soffocare la propria femminilità, in un certo senso a mascolinizzarsi, per resistere agli attacchi del demonio. E’ quello che emerge dalle lettere scritte ad Adele di Blois, che aveva il marito impegnato nella crociata, in cui elogia la di lei vittoria sulla femminilità: “sebbene bella sei rimasta casta ed eserciti con clemenza il potere comitale di tuo marito”, poiché le donne hanno il potere di seduzione che le porta all’impudicizia e desiderio di potere che le rende crudeli (crudelitas è il termine usato per definire la malvagità femminile). Dopo la vedovanza Adele si ritira in convento ed Idelberto celebra la felicità di essere diventata sposa di Dio: “non temere di essere disdegnata dal nuovo sposo perché non sei più vergine e quando lo eri hai preferito l’uomo a Dio. Cristo accetta di unirsi alle donne che furono date in matrimonio e quindi contaminate”. Ecco ciò che gli uomini di Chiesa si attendevano dalle dame: rinunciare alla carne e rinunciare al piacere difendendosi dalle proprie debolezze. Vi sono lettere scritte da monaci ed abati alle suore che non erano personali ma rivolte alla comunità religiosa in cui si ricorda che lo sposo le attende nella città celeste quando saranno pronte. Intanto “devono vegliare sui moti del cuore e del corpo” perché ogni pensiero ed ogni azione è vista da Dio, quindi “calpestare il sesso e la vanità del mondo perché il Cristo le preferisce intatte e la verginità costituisce il valore delle monache”. Tuttavia nel Medio Evo molte novizie venivano messe in convento in attesa delle nozze, proprio per proteggerle da una deflorazione accidentale e vi rimanevano quelle che i genitori non riuscivano ad accasare ed è a queste ultime che si rivolgevano i prelati per elogiarne la scelta e per dare consigli su come estirpare i germi del peccato soprattutto “distruggendo le attrattive del corpo, fuggendo la conversazione con uomini e diffidando anche dei preti”. Alcuni vescovi fecero balenare questo miraggio: “La verginità è libertà perché la donna rimane padrona del proprio corpo e felice avanzerà verso lo sposo che dall’alto dei cieli offre il suo amore per prenderla tra le sue braccia nel letto regale”. Quindi Gesù viene presentato come un uomo vero, il compagno di tutta una vita tanto che Adamo di Perseigne rivolgendosi ad un gruppo di suore le invitò a gustare i piaceri del letto nunziale celeste con teneri abbracci, dolci baci per “congiungersi nel talamo con la verità incorrotta”. Vi è quindi una visione quasi carnale del paradiso. Alle vedove inoltre si prescriveva una regola di vita non dissimile dalla disciplina monastica: tenersi pura, pregare, dichiarare guerra ai desideri impuri, leggere le scritture, scegliere la modestia rinunciando allo scintillio fallace del lusso mondano, rifiutare i giochi d’azzardo e perfino la sottigliezza del gioco degli scacchi. Per le donne costrette a copulare per la presenza del marito, la ricompensa di Dio sarà inferiore a quella delle religiose vergini poiché a differenza di queste “sono state deflorate e quindi irrimediabilmente contaminate”. Comunque alcuni uomini di chiesa giudicando le donne sensibili ai ragionamenti usarono la forza della dialettica per convincerle a “darsi a Cristo” pure se sposate: “Dio diede ad Adamo Eva come compagna ma non impose ai due di accoppiarsi, glielo permise per benevolenza, lo concesse come un rimedio per spegnere le fiamme del desiderio”. E il rimedio per essere efficace deve fondarsi sugli aspetti positivi del matrimonio che per sant’Agostino sono: la “fede dell’uno nell’altro” che comporta anche il non rifiutare il proprio corpo al compagno per formare una sola carne, ovvero farne un legame indissolubile. Di conseguenza è vietato separarsi e la commixtio dei sessi “è cosa necessaria, è dovere degli sposi ma la dama può non parteciparvi, non farsi traviare dal piacere”.
Da cosa derivavano le concezioni degli uomini di Chiesa sulle donne?
Secondo Geoges Duby, grande storico del Medio Evo, i dotti uomini di Chiesa cercarono di interpretare il significato delle vicende raccontate nella Genesi, ove dopo la Creazione è riferito il dramma della cacciata dal Paradiso Terrestre. Nella scena della tentazione Eva disobbedisce coscientemente “per ambizione di potere e per orgogliosa presunzione di sé” (Andrea di San Vittore). Il venerabile Breda e Roberto Mauro dicono che Eva si è sottomessa al piacere (cogliere il frutto ed assaggiarlo) e pertanto soccombette al desiderio di godere. Ma perché Adamo mangiò la mela proibita? Perché sedotto dai gesti della donna. Anche per Abelardo l’uomo prese il frutto dalle mani di Eva per l’amore che le portava, per non rattristarla, presumendo che l’offesa fosse leggera perché commessa per affetto e non per malizia. Quindi nel secolo XII non avevano molti dubbi: la caduta di Eva fu provocata da bramosia di potere, da leggerezza e dal desiderio del piacere, perciò tra i castighi imposti da Dio alla donna primeggia il dolore carnale: “partorirai con dolore”, che è la punizione del piacere carnale. Tutte, ad eccezione della Madonna, concepivano nella turpidine. Insomma i dotti preti medievali vedevano, nel dramma che si svolse nel giardino dell’Eden, l’irruzione del desiderio che tormenta gli uomini: Eva offre il frutto proibito, cioè il corpo femminile dolce, tenero, delizioso. Come è possibile resistere quando si è tentati? Quindi avendo comprensione ed indulgenza per Adamo tesero a sminuire la colpevolezza dell’uomo. Per ridurre le tentazioni femminili la strategia più sicura è prenderne una stabilmente ed in quel periodo il matrimonio fu collocato tra i sacramenti.
I vescovi, gli abati e i preti avevano ascoltato queste lezioni e si erano preoccupati di dare ordine alla sessualità sociale. Tuttavia agli ossessionati dalla contaminazione sessuale ed agli esaltatori della verginità, si affiancavano quelli che erano convinti che la natura non fosse così malvagia e che fosse giusto dare posto al sesso.
Nel secolo successivo cambiò l’atteggiamento della Chiesa
Il domenicano Umberto di Romans ed il francescano Guilberto furono i primi a celebrare l’amore coniugale e non considerare l’unione carnale con ripugnanza, anche se nei sermoni dedicati alle borghesi si rimprovera l’eccessiva attenzione alle acconciature e al modo di vestire: “usano fermagli un po’ lenti per lasciar intravedere una parte del seno”. Si rivolgono pure alle madri di famiglia affinché controllino le donne di casa: “tenere lontano le figlie dai maschi, sorvegliare le servette che spesso incitano i ragazzi a fornicare” ed alle contadine, cariche di molti peccati. Bisogna parlar loro come “Gesù parlò alla Samaritana” per strapparle dal peccato, soprattutto a quello di fornicazione “pronte come sono a darsi pure al parroco o al primo monaco di passaggio”.
Ad indurre i religiosi a seguire percorsi diversi dai predecessori furono soprattutto la vivacità dei commerci ed il progresso materiale conseguenti alle crociate, perché, non più rinchiusi nelle abbazie e con scarsa conoscenza del mondo, questi sapevano cosa fosse la vita e cosa fossero le donne immaginando il rapporto tra i due sessi in maniera del tutto diversa.
Il piacere carnale, purché contenuto, fu ammesso tra marito e moglie e si discusse pure del desiderio tra amanti e, per conciliare questo con la morale cristiana, finirono per esaltare l’amor purus confinato nella parte più intima della persona (San Bernardo). I trovatori però nelle loro canzoni considerarono l’amor purus per le dame come preparatorio all’amore carnale dove il corpo della donna diventava oggetto dilettevole. Questa diversa visione fu una promozione della donna ma i maschi rimanevano ancora una volta protagonisti. Vi è un trattato scritto dal chierico Andrea Cappellano che è una lezione di seduzione che invita: “a baciar sulla bocca, agli abbracci, al contatto col corpo nudo dell’amante”, tuttavia il piacere è escluso, perché l’amore puro si esalta tanto più quanto più il desiderio si prolunga. Alcuni studiosi, esaminando il testo latino di Andrea, sostengono di aver scovato molti consigli pratici sulle tecniche dell’amplesso per evitare la deflorazione delle vergini o l’ingravidamento dell’amante. Quindi l’amor purus è certamente sublimato ma fortemente mescolato alla sensualità (amor mixtus?).
Non disponiamo di documentazione su parole di donne o sui loro pensieri in quell’epoca. Forse esse erano più forti di quanto immaginiamo tanto che i maschi cercarono di indebolirle con le angosce del peccato poiché “Eva li attirava e li spaventava”(G. Duby). Solo alla fine del XIII secolo gli uomini le rivalutarono trattandole come persone ed allargando il campo delle loro libertà, ma sempre nella ostinata certezza della propria superiorità naturale.
REFERENZE
Giordano Berti. La Storia della stregoneria. Ed Arnoldo Mondadori 2010
Georges Duby. I peccati delle donne nel Medio Evo. Ed Laterza 1997
Chistiane Klapisch-Zuber. “ La donna e la famiglia” in L’uomo medievale a cura di Jaques Le Goff. Ed Laterza 1987
Umberto Eco. Il Medio Evo sec XI-XII. Ed Encyclomedia Publishers 2014
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