Si firmava in minuscolo, ‘remo bodei’, un’elegante eccentricità, come i suoi pensieri ironici e declinati in insoliti ossimori. Ascolto le lezioni sul bello e il sublime, mi perdo nelle tempeste di Turner e nelle nebbie di Friedrich; passa un anno e incontro Agostino. Sarà un incontro fatale, di quelli che segnano. Agostino letto da Bodei1 non è il santo, è l’uomo dalla volontà divisa, in guerra civile con le sue passioni e dissonanze; è il filosofo del quaerere, dell’indagare interrogante e mai sazio, degli abissi di tenebra e grazia, dei paradossi del tempo. Sceglievo i banchi della fila centrale, prendevo appunti, poi mi fermavo nei passaggi più intensi: «Ogni cosa ha un peso, un pondus, e tende al suo luogo naturale, secondo i principi della fisica antica. E se l’anima è di natura ignea, se è fuoco, essa va verso l’alto». E quel fuoco arrivava, lo sentivo scaldare e poi sollevarmi verso vasti orizzonti.
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